Mogol: «Canzoni sempre più individualiste»

Il celebre autore impegnato nella formazione di nuove generazioni di artisti parla di musica, tra creatività e responsabilità, dopo le cronache delle ultime settimane

«E adesso guido verso casa tua che vivi a Monza/Pieno di cattive idee dettate da una sbronza/Volevo abbassare le armi…». Per rispetto dei nostri lettori non proseguiamo la citazione, che mette in rima il più tragico degli epiloghi che si possa immaginare in caso di violenza contro le donne. La canzone, del 2016, è tornata alla ribalta perché il suo autore, il noto rapper Emis Killa, avrebbe dovuto esibirsi a Ladispoli a capodanno ma, proprio a causa di questo testo l’amministrazione comunale ha fatto un passo indietro.

E mentre l’opinione pubblica si divide sostanzialmente tra il “meglio tardi che mai” e chi invece urla alla censura, il dibattito resta aperto; d’altra parte, considerato che l’ondata di femminicidi purtroppo non accenna a diminuire, ogni strumento e ogni canale per educare alla parità e complementarietà di genere sono ben accetti, soprattutto quando vengono recepiti dai più giovani. Giovani e giovanissimi però, che fino ad oggi continuano ad apprezzare con migliaia di views e download sulle piattaforme musicali anche altri rapper e trapper distintisi anche loro per canzoni intrise di misoginia e termini violenti o volgari nei confronti delle donne. Basta leggere i primi testi di Fedez, come “Blasfemia” o “B-Rex status domini” o  “Xxx, part 2 Hardcore” di Gué Pequeno, o “Si chiama Gioia” di Junior Kelly, per rendersene conto. E in questa deludente rassegna annoveriamo anche “Myday” o “Psycho Girl” di La Sad, il trio emo trap in gara tra i big al prossimo Festival di Sanremo che sta facendo discutere proprio per i precedenti.

Abbiamo chiesto in esclusiva un parere a Mogol (al secolo Giulio Rapetti), l’autore italiano per antonomasia (non ama la definizione di “paroliere”, che è, a suo dire «chi fa la Settimana enigmistica»), che ha firmato oltre 1.500 canzoni, tra cui “Perdono” interpretata da Caterina Caselli, “Io ho in mente te” (Equipe 84), “A chi” (Fausto Leali), “Una lacrima sul viso” (Bobby Solo) “Riderà” (Little Tony), “Impressioni di settembre” (PFM), “Oro” (Mango), “Se stiamo insieme” (Riccardo Cocciante), “L’emozione non ha voce” (Adriano Celentano) e i più grandi successi di Lucio Battisti, per un sodalizio artistico che ha regalato alla storia della musica italiana brani come “29 settembre”, “Un’avventura”, “Mi ritorni in mente”, “La canzone del sole” e “Il mio canto libero”. 87 primavere e un grande progetto di cui si prende ancora cura personalmente: il Cet (Centro europeo di Toscolano), la scuola voluta dallo stesso Mogol oltre trenta anni fa per formare e valorizzare i nuovi professionisti della musica pop, sita ad Avigliano Umbro, in provincia di Terni.

Maestro, negli ultimi anni sono stati licenziati testi alquanto discutibili, con riferimenti espliciti a gesti di violenza sulle donne, misoginia, ecc. Oggi si grida allo scandalo, eppure questi rapper e trapper sono molto seguiti. Che idea si è fatto?
Non credo che il giudizio sia un compito mio, lo lascio ai critici. Non conosco queste canzoni (gli leggo alcune strofe…), diciamo scurrili, o altre cose che lei mi dice, non seguo la radio, ma se le ascoltassi non mi darebbero nessun tipo di emozioni. Le considero un discorso che aveva in mente qualcuno e l’ha fatto. E poi ci sono anche quelli che gli danno retta, ma personalmente a me non dicono niente. Non voglio parlare male di nessuno, ma il mondo va come deve andare e semmai il problema sarà di quelli che scelgono queste canzoni per portarle alla ribalta.

Qual è il confine tra creatività e libertà di espressione e decenza e buon senso?
Io parlo per me, cerco sempre di scrivere della vita, di portare avanti i pensieri che ho. Il mio interesse è per quello che può aiutare gli altri. In questo momento della vita sono molto concentrato sull’autostima, perché penso che noi possiamo diventare nobili o miserabili e credo che questo sia utile anche per affrontare la morte. Meglio presentarsi “nobili” con una luce dentro, che ci arriva dal bene che possiamo fare per gli altri e io lo faccio volentieri. Io voglio essere nobile.

A proposito di questo, quanto pesa la responsabilità degli artisti nell’educazione?
L’artista, quando viene seguito dai giovani, ha una responsabilità, chiaramente non deve parlare di qualcosa di negativo, non deve incitare a fare delle cose sbagliate. Ognuno deve cercare di esaudire i propri desideri. Io ce l’ho, ed è la scuola che ho regalato al mio paese, sono l’unico docente che non prende soldi. Ho creato una scuola per autori, compositori, interpreti, abbiamo diplomato tremila persone. Facciamo lezioni di poetica; cosa bella da non perdere, l’amore per la poesia.

La musica è un segmento importante della cultura di un Paese: qual è l’immagine della nostra scena attuale, dal suo punto di vista?
Non seguo l’attualità musicale, ma da quello che vedo attraverso la mia scuola, abbiamo riscontrato recentemente una tendenza meno sociale e più individualista. Sembra ci sia un po’ di gelo nei compiti che vediamo.

Sicuramente uno specchio dei tempi.
Noi stiamo facendo lezioni sempre allo stesso modo, i docenti sono sempre gli stessi, ma cambia il risultato, è un po’ meno solare, c’è meno sentimento dentro e questa purtroppo è una cosa preoccupante che abbiamo notato. Un fenomeno degli ultimi corsi e adesso ne parliamo apertamente con i giovani, invitandoli a stare attenti, a parlare dei sentimenti, dell’amore, delle storie vere. I nostri allievi hanno sempre fatto delle cose belle, tra loro c’è Giuseppe Anastasi che scrive per Arisa e adesso è un nostro docente. Adesso speriamo che ci si riprenda da questo gelo su cui forse ha inciso anche la pandemia prima, con le fragilità psicologiche emerse negli ultimi tempi.

7 dicembre 2023