Misericordia e Memoria

Ricordare per portare in grembo, avere a cuore, è Sapienza divina, che nell’Eucaristia si fa garanzia d’eternità che è promessa e compimento insieme

Ricordare per portare in grembo, avere a cuore, è Sapienza divina, che nell’Eucaristia si fa garanzia d’eternità che è promessa e compimento insieme

La struttura dell’essere umano ha una sua particolarità fondamentale nella “memoria”: senza essa l’uomo non sarebbe tale, la vita umana avrebbe difficoltà addirittura ad essere definita. Senza nulla togliere alla memoria di cui sono dotati, più o meno, tutti gli esseri viventi, la memoria dell’uomo travalica e supera la facoltà stessa, essa è la base da cui ogni costruzione umana viene fuori, il modo di interagire con la realtà, i rapporti degli uomini fra loro, tra gli uomini e Dio. Ovviamente partiamo da un dato di dignità che è insito nell’uomo, a prescindere dalle sue facoltà; partiamo dall’uomo che ha valore in sé qualsiasi sia la sua condizione, cultura, età o formazione.

La memoria di un uomo è sacra quanto l’uomo stesso al punto che non avere una memoria, come facoltà e come storia personale, smarrisce e mette in profondo pericolo l’umano e cosa definisce l’umano in sé. Pensiamo al pericolo di considerare l’embrione umano come semplice agglomerato di cellule, poiché incapace di memoria ed espressione, o al pericolo di non considerare umano e non degno di amore chi non può esprimere la propria memoria per una malattia. Pericoli a cui deve mettere rimedio, per dovere d’umanità e dignità umana, la memoria collettiva degli altri uomini, ossia dove un uomo “perde” la sua memoria o essa è mancante, deve essere supplita dalla memoria comunitaria, non solo per mero dovere d’amore ma per esprimere l’importanza della memoria stessa come valore relazionale, esistenziale. Se non fosse così la memoria resterebbe solo una facoltà, una capacità, che ricadrebbe nell’egoismo del singolo senza nessun vantaggio per l’umanità; se non fosse così l’uomo non scriverebbe nemmeno la storia, non avrebbe bisogno di ricordare (=dare il cuore) e forse si dimenticherebbe del tutto del perché è uomo e perché deve continuare a esserlo. Proviamo a pensare tutte le occasioni in cui, come intera umanità, ribadiamo con forza il bisogno di una memoria per non ricadere nell’oblio del disumano: la shoà, le celebrazioni contro la guerra, il terrorismo, la dittatura, gli eccidi.

La possibilità di combattere la disumanizzazione parte sempre da una memoria, ma anche l’amore costruisce e cresce grazie alla memoria che apre al futuro e all’amore stesso. Avere memoria non è, quindi, mai un fatto che definisce un singolo, è sempre un fatto che, capace di esprimere qualcosa, lo fa sempre in relazione agli altri, alla vita “comune”, all’amore, piccolo o grande che sia, che mi lega all’altro, agli altri. Certo, è bene conoscersi e riconoscersi in base alla memoria personale. Posso anche avere memoria di cose che mi separano, mi fanno odiare e uccidere l’altro, con mille ragioni per farlo, ma quella non è la memoria di cui stiamo parlando; qui si parla di una memoria che ricorda solo per portare “in grembo”, una memoria che sa avere a cuore, una memoria che è misericordia, memoria che è Sapienza divina che crea e ama l’umanità, sognando di portarla tutta alla sua stessa vita divina!

La Sapienza divina quindi crea le possibilità di ciò che è, o dovrebbe essere, la memoria umana, perché le fornisce il fine e il senso. Nella storia fra Dio e gli uomini questo “fine” e questo “senso” ricadono nella categoria della promessa, ossia di quella ricapitolazione di tutte le cose nel suo Amore, nella creazione nuova, nella vita divina che definitivamente abbraccia la nostra: la Vita Eterna, la Resurrezione! San Paolo descrive questa tensione come un “gemere” nelle doglie del parto a cui partecipiamo noi e tutta la creazione (Rm 8,22-23), sicuri che siamo stati già salvati nella speranza (Rm 8,24), “speranza” che deve solo giungere a compimento. Da qui possiamo capire benissimo che se perdessimo la memoria della nostra salvezza, della passione, morte e risurrezione di Gesù, perderemmo anche il senso della speranza e il nostro fine di Figli di Dio.

La memoria che Dio chiede ai suoi è il trampolino di lancio di un popolo che Dio stesso sceglie ed accompagna nella storia, come uno sposo la sposa, come un padre accompagna un figlio. Il popolo di Israele riceve da Dio la Promessa, ripetuta nel tempo, che illuminerà il futuro (“Memoria futuri” secondo la bellissima espressione di Papa Francesco nella “Lumen Fidei” 9), attraverso Abramo, Mosè, i profeti e in ultimo nella definitiva Parola che è Gesù. Senza una memoria il popolo di Israele non sarebbe neanche un popolo e la Chiesa di Cristo non sarebbe affatto, poiché non ricorderebbe alcuna promessa. Senza una memoria non avremmo il ricordo del bene che Dio realizza per noi e non potremmo raccontarne la Misericordia, e senza memoria non resterebbe che arrendersi e soccombere a un male che ci colpisce e ferisce da tutte le parti. Amo spesso ricordare, specialmente a chi è in un momento di disperazione e non riesce uscirne, che il bene e il buono che si è concretizzato nella propria vita, le meraviglie che il Signore ha compiuto, sono la speranza di una guarigione futura, da coltivare e conservare con amore, pena la perdita della possibilità di guarire. È anche importante ricordare che riuscire a perdonare è questione di amore incarnato, di fare memoria di un perdono ricevuto, di un amore gratuitamente donato, di una Misericordia vissuta e riconosciuta: chi porta nel cuore (ricordare) l’amore di Dio ha meno problemi a dimenticare il male e andare oltre nel bene.

Tra le memorie che rendono preziosa la nostra fede in Cristo vi è la memoria per eccellenza, preferenziale: la memoria eucaristica. Cristo stesso ci lascia questa memoria (Lc 22,19-20 e 1 Cor 11,23-25) e ci ordina di avere memoria (fate questo in memoria di me!), una garanzia d’eternità che è promessa e compimento insieme. Nell’ultima cena Gesù amò i suoi sino alla fine, riempì d’amore dei gesti che già facevano parte di una memoria di una promessa, la pasqua ebraica, e traghettò i suoi verso la nuova Pasqua, il definitivo passaggio dalla morte alla risurrezione. I suoi gesti, le sue parole, il pane e il vino, non inverano solo la “nuova alleanza” ma anche quel portare in grembo tutti quelli che, nel tempo e nello spazio, lui vuole amare sino alla fine e che, con amore e nell’amore, vorranno essere suoi mangiando la stessa sua carne e bevendo lo stesso suo sangue, diventando “consanguinei”, “con-carnali”. Un mistero che, ancora una volta, ci lascia senza parole ma del quale percepiamo l’importanza e l’assurda bellezza. Bellezza di un aAmore totale che si dona totalmente e al quale rispondiamo solo “facendo memoria”, facendo quello che ci ha detto, entrando con tutto noi stessi in quel grembo divino che, lo sappiamo bene, non vuole altro che partorirci alla vita eterna, alla risurrezione.

Per questa misericordia crediamo fermamente che possiamo vivere la sua promessa di salvezza facendo memoria dei suoi gesti e delle sue parole, sapendo che, se vogliamo vivere da uomini giusti, da uomini che hanno conosciuto l’amore misericordioso di Dio e testimoniarlo, non ci resta che perpetuare questa memoria animati dalla certezza esistenziale che «cieli e terra passeranno ma le mie parole non passeranno» (Lc 21,33).

1° marzo 2016

 

+Angelo