Mimma Forlani e la civiltà contadina

Ne “Il paese delle aie” la testimonianza romanzata di un passaggio decisivo della memoria nazionale e la celebrazione di un mondo scomparso. Il prezzo della modernità: la perdita del sacro

Quando finisce la civiltà contadina in Europa? Secondo i manuali la prima scintilla della rivoluzione industriale risale alla metà del 1700, ma in realtà come sappiamo si trattò di un processo lungo e molto graduale, al punto tale che in Italia abbiamo dovuto attendere il boom economico degli anni Sessanta del secolo scorso per assistere a una vera e propria cesura fra antico e moderno.

Mimma Forlani, bergamasca, raffinata studiosa di storia locale con numerosi testi all’attivo – fra cui quelli su alcune figure risorgimentali, tipo Gianmaria Scotti -, nonché ispirata e incantata viaggiatrice sentimentale in terra palestinese, nella sua ultima opera, Il paese delle aie (pp. 252, CartaCanta editore, 18 euro), s’interroga su questo passaggio decisivo della nostra memoria nazionale, a partire dalla propria esperienza, consegnandoci una preziosa testimonianza romanzata.

La narrazione, scandita nei quattro trapassi stagionali, si svolge nel 1958/59 a Bariano, nella bassa bergamasca, luogo simbolico per eccellenza: da un lato l’empirismo illuminista milanese, la pubblica felicità pariniana; dall’altro il richiamo coloristico veneziano della Repubblica di San Marco. È sempre la temperie spirituale del “cammina cammina” di Renzo nei Promessi Sposi: un’epoca cancellata all’improvviso quando aprono gli altiforni alla Falck di Sesto San Giovanni e i contadini abbandonano la campagna e diventano operai. Così anche Jacom-folega, mitico capostipite, suo figlio Jacumì- fulighi e persino la piccola Fulighina vengono inghiottiti nel passato.

Soprattutto attraverso lo sguardo della bambina l’autrice licenzia dentro se stessa, celebrandolo, un mondo scomparso per sempre: il taglio del fieno, la battitura del frumento, la raccolta del granoturco, la vendita della mucca, la festa del maiale, i riti natalizi, la scuola com’era una volta. Le nuove invenzioni televisive e cinematografiche, che portano in paese Marcellino pane e vino insieme allo sceneggiato su Guerra e pace, cadono come una scure sulle tradizionali consuetudini agricole trasformando in modo irreversibile gli stili delle comunità popolari ancorati ai ruoli ancestrali degli uomini e delle donne, dei bambini e degli adolescenti, dei capifamiglia e della Chiesa preconciliare.

Il rischio dell’enfasi sentimentale c’era tutto, ma Mimma Forlani conserva un ammirevole equilibrio prospettico: pur non rimpiangendo quei tempi lontani, lascia intendere il prezzo della modernità, cioè la perdita del sacro, in quanto rappresenta, a ciglio asciutto, una materia ai suoi occhi ancora incandescente. Lo fa con un prosimetro elegante e persuasivo nel recupero mirato delle espressioni dialettali, lasciando il vecchio Jacumì sgomento e senza parole quando, sulle rive del fiume, vede alcuni ragazzi iniettarsi nelle vene l’eroina: «Per la prima volta in vita sua, non riconosceva più il paese in cui era cresciuto».

18 dicembre 2024