Migrazioni sanitarie, 750mila viaggiano per cure di qualità

Una ricerca del Censis illustra il fenomeno diretto soprattutto verso Nord. Alti i costi affrontati. L’esperienza di Casamica onlus

Una ricerca del Censis illustra il fenomeno diretto soprattutto verso Nord. Alti i costi affrontati. L’esperienza di Casamica onlus

Settecentocinquantamila persone che ogni anno «per i motivi più diversi scelgono di farsi curare in una regione diversa dalla loro». Si tratta del fenomeno migratorio sanitario in Italia: il Censis monitora da dieci anni questo flusso e ieri, 7 marzo, nella Sala Capitolare del Senato, è stato presentato il rapporto “Migrare per curarsi”, realizzato su incarico dell’associazione CasAmica Onlus.

Coloro che si spostano per curarsi sono pazienti oncologici o che devono sottoporsi a trattamenti chemioterapici e, nella maggior parte dei casi, residenti nel Centro-Sud. Il rapporto del Censis registra un 30% di tali migrazioni (pari a 230.000 ricoveri) «tra regioni confinanti del Centro-Nord: basti pensare che Piemonte e Lombardia si “scambiano” più di 40mila ricoveri l’anno». Una «”migrazione transfrontaliera” complicata ma non ancora drammatica».

La risposta che viene data al fenomeno «non è univoca», ha spiegato Giulio De Rita, ricercatore del Censis. Oltre alla questione dei pazienti, infatti, vi è anche «quella degli accompagnatori». L’85% dei malati ne ha uno, di questi circa la metà resta un giorno o due oppure va avanti e indietro fra clinica e abitazione». Si tratta di 250.000 accompagnatori che «devono trascorrere lunghi periodi fuori da casa» andando, così, a perdere l’unica fonte di reddito che posseggono: «Se il malato è un minore e l’accompagnatore è un genitore, quest’ultimo spesso perde il lavoro», ha sottolineato De Rita.

Chi affronta un viaggio, una migrazione, per curarsi deve far fronte a numerose spese e nel rapporto viene citato «il “costo monetario per ricoveri in ospedali collocati fuori regione”, rappresentato dai costi di trasporto, vitto e alloggio e dal mancato guadagno per il lavoro perso». La spesa per il trasporto «il 35% dei pazienti la dichiara inferiore ai 100 euro, per un 40% è compresa tra i 100 e i 500 euro mentre per il restante 25% è superiore ai 500». Il peso di queste spese aumenta se vengono prese in considerazione le “migrazioni” delle regioni meridionali: «In Calabria il 40% dei pazienti dichiara di aver speso più di 500 euro» mentre in Piemonte o in Veneto la cifra scende del 20%.

La questione si fa più complessa per quel che riguarda i pazienti oncologici, dato che le famiglie, ha messo in luce De Rita, devono affrontare circa 7.000 euro di spese annue per quello che il Censis riporta come “costi diretti” (visite mediche, farmaci, infermieri privati e viaggi) e mediamente un malato «perde, da mancati guadagni, circa 10.000 euro l’anno, 6.000 il familiare accompagnatore». Proprio l’accompagnatore «nel 70% dei casi riconosce che ha subito dei cambiamenti inerenti al lavoro, nel 20% dei casi lo ha proprio dovuto lasciare, nel 2% è stato licenziato e nella migliore delle ipotesi, il 37%, ha dovuto assentarsi dal lavoro».

Significativa la testimonianza della nascita dell’associazione che ha commissionato il rapporto, CasAmica Onlus. La realtà di accoglienza nasce a Milano trent’anni fa sullo slancio della fondatrice Lucia Cagnacci Vedani e nel corso del tempo ha vissuto una positiva espansione (da 6 mesi, infatti, è stata aperta una casa anche a Roma). «Portavo i miei figli a scuola – ha raccontato la fondatrice – e vedevo persone che si svegliavano dopo aver dormito una notte su una panchina, con la testa sulla propria valigia (l’immagine della conferenza stampa). Mi sono iniziata ad interessare al fenomeno e sono venuta a sapere che erano persone che venivano dal Meridione. Ero indignata perché attraverso la malattia si era tolto loro tutto: la famiglia, l’angoscia di vivere a Milano non avendo nulla, perdendo dignità e lavoro. Volevo restituire loro la dignità». (Marco Piccinelli)

8 marzo 2017