Migranti, la proposta di Sant’Egidio: canali umanitari in Marocco e Libano

Presentando il summit sui cristiani in Medio Oriente, a Bari il 29 e 30 aprile, Riccardi ha illustrato l’iniziativa messa a punto con le Chiese evangeliche

Presentando il summit sui cristiani in Medio Oriente, a Bari il 29 e 30 aprile, Riccardi ha illustrato l’iniziativa messa a punto con le Chiese evangeliche

«Lo potremmo chiamare “I Summit intercristiano d’Europa”»: così il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo definisce l’incontro “Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?” in programma a Bari il 29 e 30 aprile e che, promosso dalla stessa Comunità e dall’arcidiocesi del capoluogo pugliese, vedrà confrontarsi i maggiori esponenti delle diverse confessioni cristiane d’Oriente, i delegati dei maggiori Paesi europei oltre all’Italia e agli Stati Uniti. Sul tavolo questioni quanto mai attuali: le persecuzioni a danno delle minoranze cristiane, il dramma siriano e la tragedia dei migranti nel mar Mediterraneo, ormai divenuto «fossa comune», secondo la definizione data da Medici Senza Frontiere, in cui i morti annegati non si contano quasi più. «L’emergenza è ciò che spinge a trovare soluzioni» ed è per questo che l’organizzazione trasteverina fondata da Andrea Riccardi ha deciso, come è nel suo stile, di farsene carico. «La comunità internazionale, sorda alla realtà, non è stata in grado di farlo e, anzi, dove è intervenuta con la guerra la situazione, se possibile, è anche peggiorata». L’esempio dell’Iraq vale per tutti. «Abbiamo deciso di dare allora parola noi ai protagonisti di questi drammi, invitando i capi delle Chiese cristiane, che sono in quelle terre prima dei musulmani, per sapere da loro le possibili soluzioni».

«C’è un vuoto di pensiero, di ascolto e d’azione», denuncia Riccardi, ex ministro della cooperazione internazionale nel passato governo Monti, che nel novembre 2014 si fece promotore di una cosiddetta “Safe Haven”, una proposta «che trovò contraria, però, la diplomazia internazionale d’allora». In pratica Riccardi pensò per Aleppo, patrimonio dell’Unesco, di farne una “città aperta”, «cioè una zona in cui non si combatte» proprio per preservarne il patrimonio culturale. «Doveva essere un modello di pacificazione anche per altre aree e invece oggi assistiamo alla morte della civiltà siriana», saccheggiata e devastata nelle sue bellezze archeologiche anche dall’Isis. «Ripresa a febbraio dall’inviato Onu Staffan de Mistura, che l’ha portata al Consiglio di Sicurezza, Assad si era detto d’accordo a una tregua per Aleppo, così come i cristiani, ma ancora una volta la proposta si è arenata per dimenticanza e disimpegno della comunità internazionale». Il timore, concreto a dirla tutta, è che un tale fallimento si ripeta per la questione dei migranti. Analizzando i dati, riferiti da Impagliazzo, è chiara l’origine degli sbarchi: la Libia. Le cifre raccontano che «su 133 sbarchi avvenuti in Italia da gennaio ad oggi, ben 105 hanno avuto come luogo di partenza il territorio libico che, tradotto, significa che su 17mila profughi, 14mila si sono imbarcati sulle coste libiche». Individuato il punto nevralgico, il lavoro diplomatico della Comunità di Sant’Egidio, che non cessa «di tessere la rete», comincia a dare i primi frutti: «Abbiamo chiesto al governo di Tripoli di dare una prova di buona volontà intervenendo sui trafficanti di esseri umani per fermare questa vergogna, e il governo di Tripoli ha risposto positivamente, così come si è impegnato a dare degna sepoltura alle vittime dell’ultimo naufragio». Un piccolo segnale «della volontà di aprire una trattativa seria».

Escluso il blocco navale così come avanzato da tanti politici nostrani, «perché non ne capisco il senso e il meccanismo» spiega Riccardi, e volendo evitare a queste persone «il “giro della morte” dei barconi, allo sbando nel Mediterraneo», Impagliazzo anticipa alla stampa – convocata il 21 aprile nella sede romana della Comunità – l’altra iniziativa studiata con la Federazione delle Chiese Evangeliche. «Si tratta di aprire un canale umanitario in Marocco e in Libano, collegato ai consolati europei, al quale si possano rivolgere già dall’Africa i richiedenti asilo per ottenere un visto che consenta loro di affrontare in sicurezza il viaggio verso i Paesi europei». L’ipotesi di sperimentare gli “humanitarian desk” in realtà «è già prevista dagli accordi di Schengen e dallo stesso Trattato di Lisbona che prevede una forma di “protezione sussidiaria e temporanea” per chi fugge da guerre o da calamità naturali». Ultimo aspetto che non dovrebbe preoccupare il governo, dicono, che così non troverebbe ragioni per ostacolarne la realizzazione, è il finanziamento dell’operazione. «I costi verrebbero coperti dall’8 per mille devoluto alle Chiese Evangeliche e da contributi volontari – conclude Impagliazzo – raccolti dalla Comunità di Sant’Egidio».

22 aprile 2014