Migranti, il caso Proactiva Open Arms: gli avvisi di garanzia

La nave dell’ong spagnola ha portato in salvo in Italia, il 16 marzo, 281 persone ma il soccorso è stato conteso dalla Guardia costiera libica. Il sequestro e l’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare

Il reato ipotizzato è di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il caso è scoppiato venerdì 16 marzo, quando la nave dell’ong spagnola Proactiva Open Arms ha soccorso in acque internazionali 218 migranti, portandoli in salvo in Italia. Un soccorso conteso dalla Guardia costiera libica che, secondo i membri dell’ong, minacciava di aprire il fuoco sui membri dell’equipaggio che si rifiutavano di consegnare donne e bambini soccorsi da un gommone. «Non avremmo mai permesso a nessuno di restituirli all’inferno», ha detto il team leader della ong Oscar Camps, una volta arrivato a destinazione, a Pozzallo, in provincia di Ragusa.

Da domenica la nave è stata posta sotto sequestro dalla procura di Catania. Risultano indagati per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare il responsabile della ong, il comandante e il coordinatore della nave. È la prima volta che un’accusa così grave viene mossa nel campo del soccorso in mare. «Proteggere la vita umana in mare – ha sottolineato Camps – dovrebbe essere la priorità assoluta di qualsiasi corpo civile o militare, perché lo stabilisce il diritto del mare. Non si può impedire il salvataggio di vite in alto mare per restituirle a un Paese non sicuro, come è la Libia, contravvenendo allo statuto dei rifugiati dell’Onu. I loro diritti sono anche i nostri. La nostra massima priorità è e sarà sempre la tutela e la difesa dei diritti umani in mare».

Sulla vicenda è intervenuto oggi, 20 marzo, a InBlu Radio, il network delle radio della Cei, anche il capo missione di Proactiva Open Arms Riccardo Gatti. «Casualmente una settimana dopo le elezioni italiane è successo questo. E chi ha preso più voti alle urne porta avanti un discorso contro l’immigrazione. È sicuramente una strana coincidenza», ha affermato. Alla fine «siamo stati vittime di un attacco armato e una violenza da parte dei libici nel tentativo di farsi consegnare le persone a bordo. Ci è sembrato un eccesso di zelo nell’incriminarci per qualcosa che ci lascia sorpresi – le parole del capo missione -. Dichiarazioni ufficiali sul cambio di protocollo che abbiamo seguito fino adesso non ci sono arrivate. Da luglio 2016 stiamo operando con la Guardia Costiera italiana che ci coordina e non abbiamo mai avuto alcun problema».

Gatti ha ricordato come «più volte abbiamo visto i migranti buttarsi in acqua all’arrivo della Guardia Costiera libica. E alcuni di loro ci hanno detto che preferiscono morire piuttosto che essere riportati in Libia». Nel caso in questione poi, ha assicurato, «i libici sono arrivati dopo di noi, avevamo già le persone a bordo. Sono poi arrivati i libici che ci hanno chiesto di consegnargliele, altrimenti avrebbero aperto il fuoco. Noi abbiamo finito il soccorso e sorprendentemente i libici ci hanno lasciati andare». Così «ci siamo diretti verso un porto sicuro la cui richiesta è stata inviata dal governo spagnolo. Ma una volta arrivati al porto dopo lo sbarco ci siamo ritrovati con la sorpresa degli avvisi di garanzia per immigrazione illegale». Una cosa che «ci lascia esterrefatti – è la conclusione del capo missione – perché sono all’ordine del giorno i maltrattamenti che i migranti subiscono in Libia. E la Guardia Costiera libica spesso è stata accusata di collusione con i trafficanti o peggio di essere loro stessi dei trafficanti».

20 marzo 2018