Migranti e rifugiati: storie di accoglienza, inclusione e riscatto
Nella Giornata della memoria e dell’accoglienza, il 3 ottobre, l’iniziativa con il Centro Astalli. Padre Ripamonti: 11 anni dopo il naufragio del 2013, in cui morirono in 368, «si sta tornando indietro con politiche di chiusura». Le testimonianze dei “libri viventi”
Teatro, musica, danza, narrazione. L’arte al servizio della memoria per dare voce a storie di accoglienza, inclusione e riscatto. Spaccati di vita vissuti da giovanissimi ai quali i talebani in Afghanistan, la guerra in vari Paesi dell’Africa, la criminalità in America Latina, la povertà, hanno spezzato sogni, reciso legami, costretto alla fuga. Con le diverse realtà che a Roma li accolgono sono stati protagonisti ieri, 3 ottobre, di “Reti di memoria: il filo dell’accoglienza”. Ospitata nella sede della Cooperativa sociale Civicozero – che supporta minori stranieri non accompagnati -, l’iniziativa è stata promossa dallo Human memory lab – dipartimento Dynamic and clinical psychology and health studies della Sapienza per celebrare la Giornata della memoria e dell’accoglienza del 3 ottobre, istituita per non dimenticare il naufragio avvenuto nella notte del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa, in cui persero la vita 368 migranti.
A undici anni dal naufragio, le politiche migratorie «vanno nella direzione opposta a quella che ci saremmo aspettati dopo quella tragedia – ha affermato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli -. Si sta tornando indietro perché si attuano politiche di respingimento, di chiusura e non quelle di uno sguardo sul futuro che richiederebbe un’apertura e una regolamentazione, in vista di una convivenza pacifica tra i popoli».
Cedric, congolese, Moussa, originario del Mali e Maria di El Salvador, rifugiati accolti dal Centro Astalli, hanno usato il metodo dei “libri viventi” per raccontarsi nel laboratorio “Ti racconto una storia, ti racconto di me”. Cedric è un attore e attraverso la recitazione ha «denunciato la violenza della polizia sulle donne detenute, una violenza altrimenti taciuta dal governo. Non potevo e non volevo rimanere in silenzio – ha detto -. Ma la mia voce ha significato essere condannato a morte e sono dovuto fuggire». Il colpo di Stato in Mali ha «cambiato per sempre» la vita di Moussa. «Mi hanno privato della cosa più importante, la libertà – ha rilevato -. Il mare era l’unica scelta possibile per poter ricominciare a sperare una vita migliore». Maria, invece, non era più al sicuro in El Salvador «per bande criminali che seminano il terrore con rapine, sequestri, omicidi, estorsioni».
Una giovane studentessa del corso Global Humanities della Sapienza, originaria dell’Afghanistan, ha ricordato il 12 agosto 2021, giorno in cui Herat è caduta nelle mani dei talebani. «Tutto è finito quel giorno – ha detto -. La mia è una famiglia istruita ma i libri, acquistati con amore, sono diventati il nostro nemico. Possedere dei libri era sufficiente per farsi ammazzare. Oggi la fustigazione delle donne in pubblico è il passatempo preferito dei talebani e libertà è la parola più strana per le donne afghane».
La serata è stata animata da performance e da laboratori delle associazioni coinvolte nell’iniziativa e impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti, tra le quali la fondazione Opera nazionale per le città dei ragazzi, IdentyTree, Storie di mondi possibili, Dimmi di storie migranti.
4 ottobre 2024