Ci sono anche 11 donne, di cui tre incinte, e 4 bambini tra i 54 naufraghi tratti in salvo dalla nave Alez della ong Mediterranea nel pomeriggio di ieri, 4 luglio, da un gommone in pessime condizioni in zona Sar libica. Dalle prime ore di questa mattina la nave si trova al limite delle acque territoriali italiane, a 12 miglia da Lampedusa, in attesa dell’indicazione di un porto sicuro «prima che la situazione a bordo diventi insostenibile».

Alle 5.17 il centro di coordinamento del salvataggio di Malta ha offerto come «gesto di buona volontà» la disponibilità da parte del governo maltese allo sbarco sull’isola delle 54 persone a bordo della Alex. Questo però senza assumere nessuna responsabilità legale per il caso in questione. «Abbiamo risposto che – informano da Mediterranea – per le condizioni psicofisiche delle persone a bordo, per le condizioni di carico della nave e per la situazione meteo data in peggioramento, la Alex non è in grado di fare rotta su Malta», distante circa 11 ore di traversata. «Restiamo però disponibili a trasferire i naufraghi su motovedette maltesi o della Guardia costiera italiana. Di certo non siamo in grado di fare 100 miglia nautiche».

Niente di fatto. Dalla Alex, la portavoce di Mediterranea Alessandra Sciurba è  costretta a smentire «con decisione e amarezza» le notizie di stampa circolate negli ultimi minuti: «Purtroppo – afferma – non c’è nessuna nave delle forze armate in arrivo da Malta per trasbordare e prendersi in carico le 54 persone che sono a bordo del nostro veliero. Il nostro capo missione – prosegue – ha appena parlato con il Centro di coordinamento dei soccorsi di Roma il cui responsabile ha affermato che non c’è alcuna intenzione di organizzare il trasferimento con mezzi militari maltesi o italiani». Nel frattempo però alla nave, che batte bandiera italiana, è stato notificato il divieto di ingresso nelle acque italiane. Lo ha confermato il ministro dell’Interno Matteo Salvini: «Stanotte abbiamo consegnato il divieto di ingresso nelle acque italiane. Incredibilmente – ha aggiunto il vice premier -, la Ong si sta rifiutando di andare a Malta, Paese europeo sicuro; se non dirigeranno verso Malta, sarà l’ennesimo atto di disobbedienza, violenza e pirateria».

Intanto non si ferma la strage nel Mediterraneo centrale. Nella giornata di ieri, 4 luglio, la ong Alarm Phone, citando fonti della Mezzaluna rossa, ha dato la notizia di un altro naufragio al largo delle coste tunisine, nella zona di Zarzis. Il bilancio: 80 dispersi e solo 4 persone sopravvissute, di cui una, portata nella città di Zarzis dalla Marina tunisina, è appena morta in ospedale. «Siamo sconvolti da queste continue stragi in mare – si legge in una nota della ong -. Auguriamo forza alle famiglie e amici che hanno perso i loro cari». Secondo due sopravvissuti, l’incidente ha avuto luogo nella serata del 3 luglio. Dei pescatori tunisini di passaggio nella zona hanno prestato soccorso e sono riusciti a portare in salvo i pochi sopravvissuti. Al momento, due di loro stanno ricevendo assistenza nel centro di accoglienza dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a Zarzis; l’altro è ancora in ospedale.

«Non può continuare lo status quo – è il commento dell’inviato speciale Unhcr per il Mediterraneo centrale Vincent Cochetel -. Nessuno mette a rischio la propria vita e quella dei suoi familiari intraprendendo questi viaggi disperati in mare a meno che non senta di non avere altra scelta. Dobbiamo fornire alle persone delle alternative ragionevoli che prevengano in principio l’esigenza di mettere piede su una barca». Proprio l’Unhcr nella giornata del 4 luglio ha portato 29 rifugiati fuori dal centro di detenzione di Gharyan, a 90 chilometri a sud di Tripoli, dove le condizioni di vita erano terribili e dove i detenuti erano sempre più a rischio per gli scontri ravvicinati. I rifugiati eritrei e somali, informano, erano rinchiusi da mesi con un accesso molto limitato ai servizi, scarsità di cibo e condizioni igieniche pessime che hanno portato allo scoppio di epidemie. Sono stati rilasciati nella comunità, dove verranno sostenuti dall’Unhcr attraverso il suo programma urbano.

Unhcr, si legge in una nota diffusa oggi, «accoglie con favore la collaborazione del ministero dell’Interno libico nell’assicurare il rilascio delle persone e ringrazia i partner, l’Agenzia libica per gli aiuti umanitari (Libaid) e l’International medical corps (Imc), per il loro impegno e i loro continui sforzi».  L’agenzia Onu continua a lavorare per ricollocare i detenuti dal centro di Tajoura, colpito da un bombardamento aereo il 2 luglio; «questa settimana ha visto le tragiche conseguenze dei conflitti sui rifugiati e migranti tenuti arbitrariamente nei centri di detenzione. Alla luce delle violenze in corso a Tripoli e del rischio evidente per la vita dei civili – prosegue la nota -, il rilascio dei rifugiati e migranti dai centri di detenzione affinché possano essere portati al sicuro è ora più urgente che mai». Allo stesso tempo, «sono necessari nuovi sforzi per garantire che nessuna persona soccorsa nel Mediterraneo centrale venga riportata in Libia».

5 luglio 2019