Maternità e lavoro femminile, obiettivo: conciliazione

Il punto in un convegno presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Linda Laura Sabbadini (Istat): in Italia clima sfavorevole alla genitorialità. Il 30% delle donne lascia l’occupazione per motivi familiari

Affrontare la questione della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro in modo innovativo. Per Giovanni Tria, presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione, si tratta di una sfida imprescindibile: «Il benessere della madre inserita nel mondo del lavoro ha ricadute positive su tutta l’economia, sul mondo del lavoro e dell’impresa». Se ne è parlato questa mattina, mercoledì 26 novembre, nell’ambito del convegno “Maternità e lavoro femminile. Stereotipi e nuovi paradigmi”, promosso da Dipartimento per le pari opportunità, Scuola nazionale dell’amministrazione e Dipartimento per le politiche della famiglia, svoltosi presso la presidenza del Consiglio di ministri. Per Franca Biondelli, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, «il fronte conciliazione è un’esigenza molto diffusa cui occorre dare risposta. Nella delega lavoro approvata ieri c’è qualche risposta positiva, ad esempio nel proposito di estendere le tutele della maternità anche alle lavoratrici autonome fino ad oggi escluse». La conciliazione, ha concluso, «coinvolge politica, imprese, parti sociali. Sono ancora troppo pochi gli asili nido aziendali».

D’accordo anche Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell’Istat. «Oggi – ha detto intervenendo via Skype al convegno – In Italia il clima sociale generale è sfavorevole alla maternità e alla paternità». A dimostrarlo, tra le altre cose, l’aumento del lavoro femminile non qualificato, mentre il part time non si è particolarmente sviluppato come strumento di conciliazione tempi di lavoro – tempi di vita, ma solo come strumento di flessibilità da parte delle imprese. «In Italia – ha rilevato – la percentuale del part time femminile involontario è doppia rispetto alla media europea». Permangono difficoltà nel mondo del lavoro, ma le cose non vanno meglio neanche all’interno della coppia, dove «la divisione dei ruoli continua ad essere rigida», con oltre il 70% del lavoro di cura svolto esclusivamente dalle donne. Segnali positivi emergono sul fronte delle coppie giovani «dove l’asimmetria dei ruoli è minore, i padri sono più collaborativi, soprattutto se possiedono un titolo di studio più elevato, ma ciò non incide complessivamente sulla situazione».

Trenta su 100, nel nostro Paese, le donne che interrompono il lavoro per motivi familiari, a fronte del 3% degli uomini, e solo quattro madri su dieci riprendono l’attività. Più che nel resto d’Europa, il tasso di occupazione femminile diminuisce al crescere del numero dei figli (dal 60% con 1 figlio al 33% con 3 figli). Il 2011, poi, è il primo anno in cui è calato il numero di bambini che vanno al nido, dato rimasto stabile nel 2012. Una domanda, quella dell’asilo nido, che «non riceve risposta adeguata – osserva ancora Sabbadini -, e lo strumento principale di conciliazione resta quello familiare delle reti di aiuto informale. Più del 50% delle madri lavoratrici si avvale dei nonni, ma le nonne, per le quali è aumentata l’età pensionabile, spesso hanno un doppio carico: i nipoti e i genitori anziani». Il risultato: una fecondità troppo bassa, dovuta a un clima generale «sfavorevole alla genitorialità». Per Sabbadini, però, in ballo c’è anche la dimensione culturale di cui sono “figlie” quel 50% delle donne ancora convinte «che gli uomini non siano adatti ai lavori di cura».

Dedicata all’offerta di servizi per l’infanzia la ricerca presentata, nel corso del convegno, da Francesca Carta e Lucia Rizzia, di Banca d’Italia. Il saldo, per le ricercatrici, è negativo. A cominciare dalla «politica degli anticipi» che ha aperto le porte della scuole materne ai piccoli di 2 anni, «con effetti significativi sul lavoro delle madri», senza generare però «alcuna reazione sul fronte mercato lavoro». Eppure, ha sottolineato Riccarda Zezza, presidente di Piano C e autrice con Andrea Vitullo del libro “Maam. La maternità è un master” (ed. Bur, settembre 2014), «la maternità è palestra di leadership». Saper negoziare, ha spiegato, «gestire il tempo, saper comunicare, essere veloci, saper determinare priorità e gestirle, affrontare e gestire imprevisti, lavorare per l’oggi pensando al domani, capacità di lavorare per gli altri sono le competenze richieste dal mondo del lavoro» ma sono anche abilità che «si acquisiscono con la maternità». Secondo Giovanna Martelli, consigliera del presidente del Consiglio dei ministri per le pari opportunità, «per ridisegnare un nuovo modello di crescita equilibrata per il Paese e per la società intera occorre affrontare il nodo della conciliazione». I servizi, ha osservato, «devono già avere nella loro natura costitutiva il tema della flessibilità organizzativa e di orario all’interno delle aziende per introdurre un concetto di flessibilità armonico, legato al benessere delle persone sul luogo di lavoro». Anche l’organizzazione dei servizi pubblici territoriali prevalentemente gestiti dai Comuni, ha rilevato, «deve entrare all’interno di una programmazione condivisa e integrata. Nella legge delega abbiamo inserito un emendamento al riguardo in vista di una maternità consapevole e senza penalizzazioni per le donne».

La maternità, insomma, può essere un valore aggiunto per un’azienda. Ne è convinto anche Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo San Pellegrino, nel quale il 40% delle dirigenti è donna. «Favorire la maternità, e far sì che una nostra dipendente possa comunicarci con il sorriso sulle labbra di essere in attesa di un bambino – ha spiegato -, conviene anche a noi per non perdere talenti». Da Andrea Vitullo, fondatore e amministratore delegato di Inspire srl, un invito agli uomini: «Nel mondo aziendale abbiamo bisogno di uomini che mettano in gioco senza pregiudizi e timori il loro lato femminile».

26 novembre 2014