Marzo 1993, don Santoro parroco a Verderocca

Il servizio di Roma Sette sulla parrocchia Gesù di Nazareth guidata allora dal sacerdote poi ucciso in Turchia

La realtà di Verderocca è quella di un piccolo quartiere, di meno di 4.200 persone, ben delimitato dalle vie Verdinois, Forte Tiburtino e Igino Giordani, con al centro la chiesa di Gesù di Nazareth, costruita nel 1986. «è – come dice il parroco don Andrea Santoro – un paesino dove il lavoro assorbe totalmente le famiglie, facendolo diventare un quartiere dormitorio. La zona comunque è tranquilla, una piccola oasi».

Tutta la popolazione è concentrata in 19 palazzi di cui molti appartamenti sono disabitati, perché acquistati solo come investimento. Quasi tutti quelli che vi abitano sono proprietari delle case: la loro permanenza nella zona è però limitata nel tempo, perché abitando in appartamenti piccoli, quando la famiglia aumenta sono costretti a trasferirsi altrove. «è – continua don Andrea Santoro – un quartiere ricco di verde, ma dove non ci si viene: bar, pizzerie, non ce ne sono; ci sono solo molti negozi di abbigliamento, ma per grossisti. Se togliamo la parrocchia non c’è nulla». E la parrocchia diviene un po’ il centro di tutti, giovani, anziani, coppie, la frequentano: adiacente alla chiesa c’è un eremo che viene utilizzato da molti per brevi momenti di riflessione spirituale e di pace.

«Occorre – dice don Andrea Santoro – proporre al quartiere qualcosa che medi la proposta religiosa, per esempio strutture culturali ricreative». Recentemente un gruppo di laici, una ventina, ha costituito un’associazione, un poliambulatorio specialistico (nella stessa pagina un servizio a parte), dove, medici e specialisti, offrono la loro consulenza alle famiglie su problemi riguardanti l’educazione, il rapporto di coppia ed ogni altra esigenza.

«Il vantaggio di avere una realtà molto piccola – dice don Andrea Santoro – porta a conoscere da vicino tutte le famiglie. Si scopre, però, che in esse, manca la clama, la padronanza del proprio tempo. Sono molto agitate, indaffarate nel lavoro, è gente affaticata. Si cerca, quindi, di inculcare la percezione che la loro casa è una piccola chiesa, dove occorre fermarsi a pregare, a riflettere. Il mio sforzo è quello di infondere fiducia, che si può e si deve anche pensare ad altro, non solo al lavoro». Un piccolo quartiere, dove, però, per l’assillo del lavoro, ci si può sentire anche soli. (di Massimo Bacchella)

28 marzo 1993