Mario Lavezzi racconta 50 anni di musica d’autore

Intervista allo “star maker” italiano, che ha firmato oltre 500 canzoni, che il 25 gennaio fa tappa all’Auditorium Parco della Musica, con il tour teatrale “E la vita bussò”

Per riassumere e rendere giustizia in poche righe ai 50 anni di onorata e variegata carriera di un artista come Mario Lavezzi, autore, produttore, arrangiatore, musicista e cantante egli stesso, talent scout e promotore, potremmo iniziare da titoli come “Vita” (per Lucio Dalla e Gianni Morandi); “Stella Gemella” (Eros Ramazzotti); “E La Luna Bussò”, “In Altomare” (Loredana Bertè); “Varietà’” (Morandi); “Non Scendo”, “Io No”, “È Tutto Un Attimo”, “Eclissi Totale” (Anna Oxa); “Succede”, “Dolcissima”; “Torneranno Gli Angeli” (Fiorella Mannoia); “Stella Nascente”, “Insieme A Te”, “Piccoli Brividi” (Ornella Vanoni): una serie di successi, alcuni dei quali diventati pietre miliari della musica italiana, che portano la firma del raffinato “star maker”, come affettuosamente viene chiamato dagli amici e dagli addetti ai lavori.

Ha fondato i Trappers negli anni ’60, poi Flora Fauna e Cemento e Il Volo, band tra le più famose del Prog anni ’70; ha fatto parte dei Camaleonti e della scuderia della “Numero Uno” (l’etichetta fondata da Mogol e Battisti, di cui è stato amico e tra i più stretti collaboratori, partecipando alle registrazioni di alcuni suoi album, come “Il mio canto libero”); come cantautore ha pubblicato numerosi album (tra questi, Iaia e Filobus – quasi introvabili per i collezionisti – e la serie Voci, a cui hanno collaborato, tra gli altri, Dalla, Cocciante, Raf, Mango, Gianni Bella, Luca Carboni, Biagio Antonacci, Cristiano De Andrè); ha prodotto gli album più belli di molte “prime donne” della nostra canzone (Bertè, Mannoia, Oxa, Vanoni, Goggi, e più recentemente, Alexia); dal sodalizio con Mogol sono nati alcuni dei brani di maggior successo di questi ultimi decenni,:“Vita” e “Varietà”. Da decano della musica italiana che ha firmato oltre 500 canzoni, oggi si dedica anche alla tutela del diritto d’autore all’interno di associazioni ed istituzioni come la Siae, di cui è presidente del Consiglio di sorveglianza.

Nel 2019 ha festeggiato il mezzo secolo di carriera iniziata con il brano “Il primo giorno di primavera”, pubblicato il 21 marzo 1969 scritto con Cristiano Minellono e Mogol, portato al successo dai Dik Dik, e ora, alla soglia del 2020, prosegue il tour teatrale “E la vita bussò” con cui farà tappa alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica il prossimo 25 gennaio. Sarà un viaggio in musica scandito a tappe attraverso i grandi successi del passato fino alle hit di oggi: un percorso musicale che parte quindi dagli anni ’70 e che Lavezzi racconterà con ironia ed eleganza. Non mancheranno curiosità e racconti inediti messi a punto insieme a Danilo Vizzini e Marzia Turcato, ed arricchiti da filmati e immagini esclusive che Lavezzi ha trovato e approfondito con l’aiuto del talentuoso scenografo Giuseppe Ragazzini. La regia è affidata nientemeno che a Duccio Forzano, abituato a grandi show televisivi come il “Festival di Sanremo”, o “Che tempo che fa”.  Sul palco sarà accompagnato da una band di musicisti eccelsi e da due vocalist che duetteranno con lui. Lo abbiamo raggiunto all’inizio del nuovo anno che lui, che va per le 72 primavere, si augura sia sempre meglio di quello precedente, con l’entusiasmo di uno che ha ancora tanta strada davanti, da percorrere sempre con grande curiosità.

È difficile per chiunque debba intervistarla riassumere la sua carriera. Ci aiuti lei!
Partirei da un gruppo di studenti che suonavano nei locali: all’epoca non c’erano i dj, le canzoni venivano eseguite dal vivo; come me hanno iniziato tanti, ad esempio Battisti, e per far ballare tutta la sera la gente ci volevano almeno 100/150 canzoni in repertorio, una bella palestra che ci ha insegnato molto. Da lì, volendo accelerare, come mi ha chiesto lei, l’incontro con Battisti, da cui ho imparato tanto, Il Volo, super gruppo progressive che ha avuto un grande successo, la giovane Loredana Bertè a cui sono stato legato da un rapporto sentimentale e professionale, e con lei mi sono fatto le spalle larghe, e poi tutte le altre donne con cui ho collaborato. Poi mi sono anche spostato a fare cose individualmente con album miei fatti per divertirmi e non con la stessa responsabilità di quando produci un artista e sei responsabile della sua vita e del suo successo e devi portare a casa il risultato. Li ho fatti sempre senza l’ansia della classifica, ma sono anche andati bene, come gli album “Voci” e “Voci 2”. E arriviamo ad oggi.

Quali sono i momenti più significativi in cui ha capito che la vita stava bussando alla sua porta?
Ce ne sono stati parecchi. Il primo è stato il passaggio da gruppo studentesco ai Camaleonti, e sembrava che la vita mi dicesse: “Dai, hai 18 anni e puoi iniziare”. E la vita sembrava un’autostrada in discesa, ma poi è arrivato il servizio militare e ho dovuto lasciare il gruppo. Ero disperato all’inizio, mi sembrava di aver già finito la mia carriera musicale, ma ho scoperto che il tormento rende produttivi e ho scritto “Il primo giorno di primavera”.

E tra le persone che hanno bussato, a chi è più legato?
Sicuramente Mogol, siamo ancora amici, abbiamo da poco scritto insieme una canzone ancora inedita, non so quando la pubblicheremo. Nel 2019 ho deciso di far uscire “Canti di Sirene” scritta con Califano nel 2011 e mi sembrava adatta per essere l’inedito dell’antologia del mio cinquantesimo. Un’altra persona importante è sicuramente Loredana Bertè, ancora ci sentiamo, abbiamo un rapporto di affetto profondo, ma anche Ornella Vanoni: siamo ancora amici oltre che colleghi. E poi Battisti, naturalmente.

È vero che Battisti le ha rotto un dente?
Non volutamente! Eravamo a casa sua e dopo una partita a ping pong mi ha chiesto se lo aiutavo ad aggiustare una sedia a cui si era staccata la spalliera. Gli è partita la testa del martello ed è finita sul mio labbro inferiore, e mi sono ritrovato un dente da verticale a orizzontale. Siamo corsi da un amico dentista e per fortuna era solo lussato. Eravamo molto amici. Mi piaceva il fatto che quando aveva delle passioni le approfondiva fino in fondo. Ad esempio un tempo eravamo entrambi appassionati di fotografia e facevamo a gara: lui si era comprato una Nikon e io una Pentax, marche concorrenti, e discutevamo su quale delle due fosse meglio. Avevamo anche creato una camera oscura per sviluppare le foto, litigavamo ma ci divertivamo.

L’apice della sua carriera è tra gli anni Settanta e Ottanta. Con i meccanismi di oggi, tra talent e consumismo musicale, sarebbe ancora possibile?
No. C’è una totale differenza tra le due epoche: la mia la definisco nuovo illuminismo, perché in tutti i settori si era sprigionata una grande creatività, dalla musica all’arte figurativa, al cinema, al design, alla moda. E non è un caso che quegli anni siano tornati alla ribalta e ancora influenzino tutto. Oggi la musica è diventata liquida: un singolo dura un mese e mezzo, non c’è tempo di metabolizzare. Un tempo una bella canzone durava anche tre o quattro anni, adesso non c’è questa possibilità.

Da anni lei si espone per la tutela dei diritti d’autore e in difesa dei giovani autori. Chi le piace oggi?
Ultimo è notevole, scrive delle cose che potrebbero rimanere. Nel rap e nel trap mi piacciono Salmo, Fabri Fibra, Emis Killa: hanno testi interessanti, pensati e preparati.

È interessante che lei citi anche questi personaggi che rappresentano un genere molto diverso dal suo.
Sono molto curioso, ascolto tutto e penso che bisogna aggiornarsi sempre. Ad esempio so usare Pro tunes e Logic audio, programmi con cui si crea musica dal computer. Ma proprio ieri sera ho rivisto in tv il film “Bohemian Rhapsody” sulla storia dei Queen, che racconta molto bene i loro incontri in studio dove componevano e registravano e ognuno ci metteva del suo: la composizione nasceva dall’aggregazione ai nostri tempi, e per questo nascevano dei capolavori; oggi si lavora molto da soli, al massimo ci si scambiano i files e si perde questa potenza.

Per festeggiarsi non si è accontentato di un’antologia con relativo concerto ma sta portando sui palchi uno show televisivo. Insomma, diventa anche narratore?
Sì, perché quando vado a sentire un concerto di chiunque, anche bello, dopo la prima mezz’ora, e dopo aver visto la scenografia, le luci, e così via, ho già capito tutto e rischio di annoiarmi. Invece, quando racconti qualcosa, incuriosisci e si crea l’effetto memoria in cui la gente entra. Mi è successo al concerto di Baglioni e Morandi “Capitani coraggiosi”: sono stato lì tre ore perché c’era un racconto.

3 gennaio 2020