Marini Clarelli: musei riaperti, visite di qualità  

La sovrintendente capitolina ai Beni culturali: vedere le opere in maniera distanziata è un’esperienza da valorizzare. I programmi delle mostre

Storica dell’arte e già sovrintendente, dal 2004 al 2014, alla Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma, dal 2019 Maria Vittoria Marini Clarelli guida la Sovrintendenza capitolina ai Beni culturali. Prima donna a ricoprire il prestigioso ruolo, Clarelli è stata anche vice presidente del Comitato nazionale italiano del Consiglio internazionale dei musei (Icom). Dopo la battuta d’arresto imposta anche al mondo dell’arte dall’emergenza Covid-19, oggi la sovrintendente ha il difficile compito di rilanciare il sistema dei Musei in Comune – di cui fanno parte, tra gli altri, l’Ara Pacis, i Mercati di Traiano e gli antichissimi Musei Capitolini – per il quale la prenotazione della visita è ormai obbligatoria anche nelle domeniche gratuite. «Forse è un po’ una limitazione per il pubblico, però ci aiuta nel tracciamento perché, in questa fase, sapere chi entra può servire a proteggere gli altri se poi dovesse verificarsi un caso particolare. Adottiamo tutte le più rigorose misure di precauzioni, comprese quelle facoltative. Il visitatore sa che può entrare in sicurezza».

Cosa ha significato per Roma la chiusura dei musei e, più in generale, lo stop alla cultura dal vivo?
Ci sono stati degli effetti importanti, alcuni dei quali hanno destato preoccupazione ma ci sono anche degli aspetti positivi. Innanzitutto c’è stata una grande accelerazione di tutta l’attività online, che era rimasta un po’ sottotono nel periodo precedente, e anzi abbiamo notato che noi operatori museali siamo più smart di quanto immaginassimo. E poi c’è stata una risposta molto forte del pubblico, a dimostrazione che la cultura è stata considerata importante nel periodo di confinamento. Sul sistema #laCulturainCasa, attivato dal nostro assessorato alla Cultura come portale per tutte le iniziative digitali, abbiamo toccato, per dire, 50 milioni di visualizzazioni: sono dei numeri abbastanza impressionanti. Ci sono poi tutte le attività pensate per riaprire in maniera sicura perché in questo momento bisogna ricordare che possiamo fare tutto ciò che è consentito purché seguiamo certe regole. E per il museo, luogo nel quale c’è già l’abitudine a un rispetto reciproco e a un rispetto delle opere d’arte, è stato più semplice prevedere dei limiti: il pubblico è già pronto mentalmente per frequentare le sale e le aree archeologiche con questi criteri.

Lo storytelling online dell’arte, che sembra aver funzionato stando ai numeri da lei citati, proseguirà oppure può considerarsi una parentesi chiusa?
Certo, proseguirà e dovremo anzi strutturarlo in maniera più innovativa perché adesso si è fatto un po’ di tutto, a volte cose anche molto casalinghe e il risultato dipendeva proprio da quanto il singolo curatore avesse un figlio o una figlia particolarmente abili con la tecnologia. C’erano, sì, delle qualità individuali ma perlopiù si pescava nella comunità familiare che era tutta coinvolta nel progettare questi eventi per il museo. Per il proseguimento, invece, pensiamo a forme di interattività, come il contest lanciato dalla Galleria comunale d’Arte moderna o il concorso per fotografie della città vista dalla finestra. Ecco, bisogna immaginare qualcosa che non sia semplicemente frontale, come si direbbe in termini scolastici, ma diventi anche per noi un modo di raccogliere.

Ci racconta la risposta dei romani alla riapertura?
Consideri che i primi ad aprire, il 19 maggio, sono stati i Musei Capitolini e la mostra di Canova a Palazzo Braschi, quindi luoghi che sono anche particolarmente attraenti. Però quando abbiamo aperto tutto, il 2 giugno, già dai primi giorni il pubblico romano si è proprio sparpagliato anche nei musei molto piccoli e nella prima domenica – che era ad ingresso gratuito –, gli accessi al sistema dei musei in Comune sono stati quasi 5.400, che non sono paragonabili a una domenica gratuita normale ma sono significativi. Come pure notevole è stato l’incremento dell’acquisto della carta MIC (Musei in Comune), abbonamento annuale di 5 euro che – fatta eccezione per delle mostre speciali – permette di visitare gratuitamente tutti i musei. Dunque ricominciare con delle visite di qualità, vedendo le opere in maniera tranquilla, distanziata e contingentata è anche un’esperienza da valorizzare in quanto tale. È importante poi ristabilire con i turisti un rapporto che veda nei romani i padroni di casa, perché solo riappropriandoci dei nostri musei saremo anche in grado di raccontarli meglio a chi verrà a visitare questa città meravigliosa.

In questo periodo si sente l’esigenza di puntare su ambienti rigenerati, sia in termini naturalistici che urbanistici. In tal senso, oltre che custodi dell’arte, i musei potrebbero proporsi come soggetti attivi, in grado di incidere sulla diffusione della cultura per una nuova Italia?
C’è un bellissimo testo del filosofo francese Edgar Morin, che si chiama “I 7 saperi necessari all’educazione del futuro” e che io cito spesso, dove si dice, a proposito dell’identità terrestre, che bisogna imparare ad essere cittadini del pianeta e il Covid ce lo ha fatto capire in modo drammatico. Educare a usare bene non solo ciò che ha fatto l’uomo, cioè il patrimonio culturale, ma anche l’ambiente è attività che si può fare nel museo, nei parchi e nelle aree archeologiche. Così come sarebbe bello attuare – e ci stiamo lavorando, sperando che questo progetto vada in porto entro la fine dell’anno – una progettazione più partecipata degli spazi museali. Sicuramente è una cosa molto complessa da realizzare, perché si tratta di cambiare la mentalità della cittadinanza, là dove con questo termine ci si riferisce non  solo alle istituzioni e ai singoli membri della comunità, ma anche alle scuole e a tutti quelli che, con un linguaggio un po’ modaiolo, si chiamano “stakeholder”.

Quest’anno celebriamo Raffaello, l’anno prossimo ricorrono i 500 anni, invece, della morte di Leone X, Papa mecenate dell’illustre pittore d’Urbino e, sempre nel 2021, si ricordano i 150 anni dalla nascita di Roma Capitale. L’attende un bel lavoro.
Per quanto riguarda Raffaello, abbiamo scelto di non organizzare una iniziativa specifica, essendoci già una grande mostra alle Scuderie del Quirinale e un’altra all’Accademia nazionale dei Lincei, che ha sede alla Farnesina, proprio nel luogo dove c’è la bellissima decorazione di affresco raffaellesca. Invece faremo qualcosa nell’autunno del 2021 per ricordare Leone X, anche se il progetto di mostra che avevamo inizialmente era legato ad una serie di circostanze internazionali, poi purtroppo mutate. Invece la mostra dedicata ai 150 anni di Roma Capitale, che avrebbe dovuto essere inaugurata a novembre a Palazzo Braschi, slitta leggermente perché dura di più la mostra precedente, su Canova, che doveva concludersi il 15 marzo ma, grazie alla collaborazione di tutti i prestatori, procederà ancora fino al 21 giugno. La mostra successiva, che aprirà in estate, è quella dedicata alla pregevole collezione di giocattoli antichi di Roma Capitale che, in questa forma, non era mai stata vista dal pubblico.

Crede sia necessaria una rinnovata politica di attrattività dei territori?
È importante il fatto di come un luogo accoglie, consapevole di quello che ha, perché la qualità del turismo dipende anche da quanto la comunità si sente fiera del proprio patrimonio. La sfida è far sì che i romani, e gli italiani più in generale, possano riappropriarsi del loro patrimonio culturale, direi quasi innamorarsene di nuovo come succede un po’ nelle relazioni sentimentali, alle quali ogni tanto bisogna togliere la polvere per ritrovare le cose che già si conoscono e che si amano.

15 giugno 2020