Maria e Janada, vittime di Boko Haram, dalla Nigeria a Santa Chiara

Le due giovani protagoniste dell’incontro “8 marzo, ascolta anche le loro grida”, promosso da Acs. Con loro padre Fidelis, direttore del “Trauma center” di Maiduguri, dove entrambe sono state seguite. L’invito ad apprezzare «la libertà di religione di cui gode l’Occidente»

Il grido di Maria Joseph e Janada Markus è stato accolto e ascoltato ieri sera, 8 marzo, nella parrocchia di Santa Chiara, a Vigna Clara, dove le due giovani nigeriane, vittime della ferocia dei terroristi jihadisti di Boko Haram (che significa letteralmente “L’educazione occidentale è peccaminosa”), hanno portato la loro testimonianza «per aiutarci a capire che cosa possiamo fare noi per la dignità umana di questi fratelli perseguitati», come ha spiegato nel suo saluto il parroco don Andrea Manto. La mattina, al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro, le due giovani di 19 e 22 anni erano state salutate da Papa Francesco per essere poi ricevute dal presidente della Camera Lorenzo Fontana, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Oggi, 9 marzo, saranno invece ricevute dal segretario di Stato Pietro Parolin.

Incontro vittime di boko haram, parrocchia santa chiara, acs italia, 8 marzo 2023 L’iniziativa, denominata “8 marzo, ascolta anche le loro grida”, è stata promossa dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), che dal 1947 sostiene gli oltre 416 milioni di fedeli cattolici e cristiani perseguitati e oppressi, finanziando ogni anno circa 5mila progetti in oltre 140 Paesi del mondo. Uno di questi è il “Trauma center” di Maiduguri, nel nord-est del Paese africano, che accoglie 360 ragazze e ragazzi non solo cristiani ma anche islamici ed è diretto da padre Joseph Fidelis, che ha accompagnato e fatto da interprete alle due testimoni.

Nell’agosto del 2022 Maria Joseph, la più giovane delle due vittime di Boko Haram, è sfuggita ai miliziani dopo essere rimasta loro prigioniera per 9 anni, tenuta per un anno anche «chiusa in una gabbia come gli animali», ha raccontato. A seguito di un attacco alla sua comunità di Bazzar, sferrato dal gruppo terroristico responsabile negli ultimi 13 anni della morte di oltre 75mila nigeriani, la ragazza è stata rapita nel 2013 insieme ad altre 21 persone. Aveva solo 9 anni. La prima cosa che hanno fatto è stata convertirla con la forza all’Islam, cambiando il suo nome in Aisha, un nome musulmano, avvertendola di non pregare come i cristiani perché altrimenti sarebbe stata uccisa.

La ventiduenne Janada Markus invece ha raccontato di come il 20 ottobre 2018 «eravamo nella fattoria e lavoravamo, quando all’improvviso siamo stati circondati dagli uomini di Boko Haram. Hanno puntato un machete contro mio padre e gli hanno detto che ci avrebbero rilasciati se avessimo fatto delle cose molto brutte». Rifiutando, l’uomo ha chinato la testa in segno di sottomissione per essere ucciso e ha risposto che «non poteva dormire con la sua carne e il suo sangue, sua figlia, preferendo morire piuttosto che commettere quello – sono state ancora le parole di Janada -. Uno degli uomini allora ha tirato fuori un machete e ha tagliato la testa di mio padre, proprio di fronte a noi». I terroristi in quella occasione hanno restituito la libertà a Janada, ma il 9 novembre 2020 la giovane è stata catturata, portata nella boscaglia e torturata duramente, emotivamente, fisicamente e mentalmente per sei giorni, per poi essere rilasciata. Anche lei è stata accolta nel Centro traumatologico della diocesi di Maiduguri.

In conclusione, ricevendo dai giovani della parrocchia un mazzo di fiori gialli, «segno di delicatezza per avere condiviso e quindi anche rivissuto il loro orrore, che ci hanno affidato perché questo non si ripeta più», ha spiegato monsignor Manto, Maria Joseph e Janada Markus hanno invitato ad apprezzare la libertà di religione di cui noi in Occidente godiamo, «ringraziando ogni giorno il Signore per la condizione di vita che avete e che noi non abbiamo mai conosciuto».

9 marzo 2023