Mar Rosso: nuovi attacchi contro i ribelli Houthi

I raid di Usa e Gran Bretagna hanno colpito 8 bersagli. La replica dei miliziani: «Non resteranno impuniti». A Gaza, uccisi 21 soldati israeliani. Accerchiata Khan Yunis

Navi e aerei delle forze armate statunitensi e britanniche hanno colpito nella notte tra 22 e 23 gennaio postazioni delle milizie yemenite filoiraniane Houthi, in seguito agli oltre 12 attacchi contro le navi nel Mar Rosso avvenuti nei 10 giorni dal primo intervento anglo-americano. 8 in tutto i bersagli, incluso un sito sotterraneo di stoccaggio di armi, sistemi missilistici e postazioni di lancio, e sistemi di sorveglianza e difesa aerea. Ne dà notizia una nota congiunta delle forze armate dei due Paesi. L’obiettivo è sempre lo stesso: «indebolire» – è la parola che ha usato il ministro degli Esteri britannico David Cameron – le capacità degli Houthi, che dal 19 novembre scorso anno attaccato almeno 33 navi da carico in navigazione nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, spingendo 14 compagnie di navigazione a interrompere le operazioni in quella regione.

Da parte loro, i miliziani hanno avvertito: «I raid di Usa e Gran Bretagna in Yemen non resteranno impuniti». Di «errore strategico» ha parlato da New York il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian, denunciando che gli attacchi congiunti con il Regno Unito «minacciano la pace e la sicurezza regionali e causano l’allargamento della guerra a Gaza. «Abbiamo mandato messaggi agli Usa, avvertendoli seriamente», ha detto. Quindi, incontrando il suo omologo russo Serghei Lavrov, in vista di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul Medio Oriente in programma oggi, 23 gennaio, ha chiesto a Mosca di giocare un ruolo più attivo per fermare la guerra a Gaza, riferisce l’agenzia Irna. Nelle parole del ministro iraniano, «le recenti aggressioni dei sionisti in Siria e Libano mirano a distrarre l’attenzione del mondo dai loro vergognosi fallimenti». Secondo quanto riferisce Irna, Lavrov ha invocato una posizione unitaria dei Paesi arabi sulla questione palestinese.

«Non è accettabile», per la Gran Bretagna, la narrazione dei ribelli secondo cui i loro attacchi avvengono in risposta a quanto sta accadendo a Gaza nel conflitto tra Israele e Hamas. Intanto la fazione palestinese aggiorna la conta dei morti: 25.490, secondo il ministero della Sanità della Striscia, dall’inizio della guerra. Dall’altra parte del fronte, l’esercito israeliano piange la morte di 21 soldati, rimasti uccisi ieri, 22 gennaio, nei combattimenti a Gaza. A riferirlo è il portavoce militare Daniel Hagari: è l’episodio più grave per l’esercito israeliano dall’inizio della guerra. «Per quanto ne sappiamo – spiega – intorno alle 16 di ieri, non nella notte, i terroristi hanno lanciato un racco contro un carro armato che proteggeva i soldati e si è verificata un’esplosione in 2 edifici a 2 piani. Questi edifici, che l’esercito stava minando, sono crollati, mentre i soldati erano dentro e vicino a essi». L’attacco è avvenuto nell’area di Almaazi, nel centro della Striscia, e non a Khan Yunis, come sembrava in un primo momento. Della morte di questi soldati scrive su X il ministro della Difesa di Israele Yoav Gallant. Assicurando la vicinanza alle famiglie, ribadisce che «questa è una guerra che determinerà il futuro di Israele per i decenni a venire: la caduta dei combattenti ci costringe a raggiungere gli obiettivi della guerra. Le mie condoglianze dal profondo del cuore alle famiglie delle vittime della campagna e i migliori auguri di pronta guarigione ai feriti».

Sul fronte interno, non si placa la furia dei parenti degli ostaggi israeliani a Gaza, che inseguono il premier Netanyahu in tutto il Paese, con un solo, inequivocabile messaggio: «Bring them home», Portateli a casa. Fino a fare irruzione nella seduta della commissione Finanze, in Parlamento, quando si discuteva di fondi: hanno chiesto ai deputati «di pagare il riscatto» per la liberazioni di quanti sono ancora in mano ai terroristi o di andarsene e lasciare ad altri il compito di rappresentarli. Hamas nel frattempo riferisce di non aver ricevuto nessuna proposta di tregua da Israele che preveda la sospensione dei combattimenti per due mesi in cambio del rilascio degli ostaggi. Per Hamas, ha spiegato un portavoce della fazione palestinese in Libano all’agenzia turca Anadolu, «la condizione principale per un accordo è un cessate il fuoco totale e completo, non temporaneo». Solo così ci potranno essere colloqui sugli ostaggi.

Intanto si continua a combattere. Nella giornata di ieri, 22 gennaio, decine di combattenti palestinesi sono stati uccisi a Khan Yunis, dopo che l’esercito israeliano ha assediato la città. «Le truppe – riferisce il portavoce – hanno effettuato una vasta operazione durante la quale hanno circondato Khan Younis e intensificato l’operazione nell’area, che è una roccaforte significativa della Brigata Khan Younis di Hamas». E ancora: «Le truppe di terra si sono impegnate in combattimenti ravvicinati, hanno diretto attacchi aerei e hanno utilizzato l’intelligence per coordinare il fuoco, con conseguente eliminazione di decine di terroristi».

E mentre si preme, da parte italiana, per  la linea dei “due popoli, due Stati”, ha assicurato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ai microfoni di RaiNews24, nonostante l’opposizione del premier israeliano, prende corpo la nuova missione militare dell’Ue Aspides, per difendere, anche con la forza, se necessario, le navi mercantili nel Mar Rosso, messe a repentaglio dagli attacchi degli Houthi. Missione che vede l’Italia in prima fila, insieme a Francia e Germania e che è all’ordine del giorno del Consiglio Affari esteri dell’Unione europea. Il carattere sarà «strettamente difensivo», anche se bisognerà attendere le regole d’ingaggio.

23 gennaio 2024