Mamme in prima linea a sostegno dei figli disabili

La lotta quotidiana delle madri con un disagio acuito dalla pandemia. Avrebbero diritto a servizi più efficienti, serve una rete permanente

La mamma di Tommaso ieri mi ha tenuto al telefono per quasi 40 minuti, disperata perché, nonostante la terapia farmacologica, gli accessi d’ira di fronte alla limitazione del videogioco continuano a presentarsi, anche in modo violento. La voce di una donna che si batte senza sosta per riuscire a vedere un cenno di miglioramento nel figlio. La mamma di Ginevra mi ha inviato un audio straziante, quindici minuti di trattativa su un conflitto scatenato dalla privazione del cellulare, con invettive sempre più aggressive nei confronti della madre, che continuava a cercare di contenerla. La mamma di Giacomo mi aggiorna costantemente dell’evoluzione nel percorso di adattamento del figlio al programma di attività approntato per la riabilitazione sul piano sociale, dopo il grave evento lesivo nei confronti del fratello maggiore avvenuto in pieno lockdown lo scorso anno…

Situazioni del tutto diverse tra loro, sia sul piano clinico sia su quello socio-ambientale, ma tutte hanno il comune denominatore della madre in lotta. Sì, perché di una lotta quotidiana si tratta, quella delle madri-coraggio che sostengono h24 lo scontro con gli effetti della disabilità del figlio, che con modalità pervasiva tendono ad occupare qualsiasi spazio vitale, parassitando anche gli sporadici momenti di relax.

La tempesta pandemica ha agito da amplificatore di un pesante disagio che da sempre viene sopportato da un esercito di madri perennemente in assetto di guerra, per combattere contro disabilità motoria, psichica, disfunzioni dei servizi, bullismo dentro la scuola o fuori da essa, emarginazione sociale. Né vanno tralasciate le incomprensioni familiari, con il coniuge per divergenze nella gestione delle problematiche connesse alla disabilità o con gli altri figli per vissuti di trascuratezza sul piano affettivo, con la conseguenza che frequentemente le mamme si ritrovano da sole a sostenere la routine quotidiana.

Le statistiche parlano chiaro, un recente intervento del professor Vicari evidenzia un incremento del 30% dei ricoveri in psichiatria per autolesionismo o per tentativo di suicidio, del 28% per disturbo del comportamento alimentare. L’età di insorgenza è diventata più precoce (intorno ai 13 anni), le manifestazioni più intense e recidivanti. Di pari passo, si osserva un aumento della sintomatologia ossessiva-compulsiva, dei comportamenti correlati a un disturbo post-traumatico da stress e di alterazione del pensiero.

Nella popolazione pediatrica in generale, è stato osservato un netto incremento di disturbi del sonno, irritabilità e difficoltà di concentrazione nei più piccoli, mentre negli adolescenti prevalgono ansia e depressione. Di certo un ruolo preponderante è stato giocato dallo stravolgimento delle routine, specialmente nei disturbi del neurosviluppo, laddove ciò si è subito tradotto in un sentimento di instabilità comportamentale e un aumento dell’ansia generalizzata. In prima linea anche in questa drammatica transizione sono rimaste loro, le mamme, che nel giorno della Festa a loro dedicata meriterebbero ben più che un monumento.

Avrebbero diritto a servizi più efficienti, capaci non soltanto di intercettare il malessere, ma di effettuare una presa in carico del sintomo e una gestione capace di alleggerire la fatica fisica e psichica cui è sottoposto costantemente il caregiver (che nella stragrande maggioranza dei casi sono sempre loro, le mamme). E ciò diventa possibile solo attraverso la creazione di una vera rete permanente, pensata e governata da personale specializzato, sulla base delle evidenze cliniche e delle cosiddette buone prassi.

Avrebbero diritto ad essere ascoltate, perché gli esperti di primo livello delle problematiche poste dalle disabilità sono loro, che fanno i conti giorno per giorno con il variare delle esigenze della quotidianità. Avrebbero diritto ad entrare a pieno titolo, in un modello direi quasi capovolto, ma sicuramente da reinventare, nella gestione delle risorse, perché una mamma è per definizione incapace di pensare a trarre profitto da un servizio pubblico, cosa che sovente è, ahimè, la piaga delle nostre amministrazioni. Perché l’unico pensiero ed obiettivo che naturalmente la anima è il benessere dei propri cuccioli, e per loro diventano tollerabili anche i sacrifici più pesanti.

Ci aiuta nell’annuncio di questa tesi la voce di Edith Stein, personalità carismatica nella costruzione del dell’unità europea: «Il modo di pensare della donna, e i suoi interessi, sono orientati verso ciò che è vivo e personale e verso l’oggetto considerato come un tutto. Proteggere, custodire e tutelare, nutrire e far crescere: questi sono i suoi intimi bisogni, veramente materni». (Roberto Rossi, neuropsichiatra infantile)

14 maggio 2021