Un film con una trama psicologia molto fitta che mette a nudo in modo diretto superficialità e cinismo di una famiglia disfunzionale con dei genitori troppo «adulti» per pensare ai piccoli
Certi argomenti difficili e tristi segnano la cronaca di oggi ma non sono una novità: si ripetono e dicono la forte intensità emotiva che procurano e lasciano dentro. Ce lo ricorda Quello che sapeva Maisie, un film in uscita nelle sale a partire da giovedì 26 giugno. Siamo a New York, oggi. La piccola Maisie, 7 anni, si trova al centro della causa di divorzio tra la madre Susanna, rockstar affettuosa e distratta, e il padre Beale, mercante d’arte spesso in viaggio d’affari tra America e Inghilterra.
Quando Beale sposa Margo, la giovane tata di Maisie, e il tribunale affida a lui la bambina, Susanna per ripicca prende per marito Lincoln, un barman più giovane di lei. Comincia tra le due coppie una serie di rimpalli che disorientano la piccola e la inducono a prendere una decisione inattesa. Va detto subito che il punto di partenza è il romanzo omonimo What Maisie Knew) scritto da Henry James e pubblicato nel 1897.
Henry James (New York, 1843 – Londra, 1916) è una figura di critico e intellettuale che ha introdotto nel romanzo la svolta significativa dell’uso del punto di vista soggettivo. È una tecnica verificabile anche in alcuni suoi titoli precedenti (Ritratto di signora, 1881; I Bostoniani, 1886), tutti legati a trasposizioni cinematografiche intense e molto conosciute.
L’idea dell’adattamento ai giorni nostri della vicenda di Maisie è delle due sceneggiatrici che, per scrivere il copione, hanno attinto ai propri ricordi, allo stesso tempo, di figli e di genitori passati per un divorzio. I due registi poi hanno costruito le immagini in modo che lo spettatore arrivi a conoscere ogni personaggio solo attraverso la sua interazione con Maisie. Ne esce una trama psicologica molto fitta, che mette a nudo in modo diretto superficialità e cinismo di una famiglia disfunzionale, denuncia disinteresse e opportunismo di genitori troppo «adulti» per pensare ai piccoli, fa emergere carenze, disagi, delusioni attraverso gli occhi e le parole della bambina, capace di sopportare solo perché troppo piccola per reagire in modo forte.
Lo spostamento dalla fine Ottocento ad oggi è del tutto indovinato: attualizza situazioni già esistenti in passato (soprattutto nel mondo anglosassone) e rende più doloroso il verificare la presenza di quelle «violenze» sull’infanzia che la società occidentale del Terzo Millennio ha tutt’altro che superato. Muovendosi ad altezza di bambino, l’immagine porta in primo piano la presenza nel ruolo di Maisie di una protagonista di assoluto valore e di vibrante emotività. Trasmettono brividi le sequenze di una solitudine buia e fredda di una piccola lasciata sola dai genitori. Film da vedere, e soprattutto da meditare.
23 giugno 2014