L’uso delle parole e del linguaggio centrale nella relazione di aiuto
Per accedere alla rappresentazione che la persona ha del mondo prestiamo estrema attenzione alla forma in cui comunica il suo vissuto
Nella mia attività di terapia mi soffermo spesso sull’importanza del linguaggio e delle parole: in che modo le persone raccontano le loro storie? Come descrivono le loro esperienze? A queste domande ci aiutano a rispondere uno psicologo e un linguista, R. Bandler e J. Grinder, proponendo un modello davvero interessante per descrivere l’interazione umana.
Quando si apprende una qualunque informazione, questa viene filtrata attraverso le proprie convinzioni e strutture valoriali, portando ad acquisirne soltanto una piccola percentuale. Quando gli uomini desiderano comunicare la loro rappresentazione – la loro esperienza del mondo – formano una rappresentazione linguistica completa chiamata “struttura profonda”.
Quando cominciano a parlare effettuano una serie di scelte (trasformazioni) relative alla forma in cui comunicheranno la loro esperienza: da qui nasce Il linguaggio che usiamo ogni giorno per interagire con qualcun altro, ovvero la “struttura superficiale”. Le parole che utilizziamo concretamente, quindi, costituiscono solo una rappresentazione superficiale dell’effettivo significato più profondo all’interno dei nostri pensieri.
Quindi ognuno costruisce una sua personale rappresentazione del mondo (una mappa) in base alle esperienze vissute, a partire dalla quale nascono i comportamenti. Questa rappresentazione determinerà, in buona parte, l’esperienza del mondo che si ha e il modo in cui lo si percepisce. Ognuno, in base al suo vissuto, costruirà una percezione della realtà unica e diversa da quella dell’altro.
Nel passaggio dalla struttura profonda a quella superficiale intervengono meccanismi di trasformazione che spesso si rivelano utili nell’affrontare la realtà, ma che possono, tuttavia, indicare un livello di sofferenza. Ad esempio, nel lavoro clinico al Consultorio, gli adolescenti e gli adulti che incontro sentono di non avere via d’uscita da ciò che vivono e hanno l’impressione di avere limitate possibilità di scelta. La mancanza di opzioni si concretizza attraverso questi tre meccanismi: la generalizzazione, la cancellazione, la deformazione.
Per “generalizzazione” si intende il caso in cui uno o pochi elementi iniziano a rappresentare tutta la realtà del soggetto: per esempio da bambini abbiamo visto come si apre un rubinetto dell’acqua e abbiamo generalizzato che i rubinetti in generale si aprono in quel modo. Ciò è utile ed evita di studiare ogni rubinetto che troviamo per capire come funziona. È vero anche che un ragazzo può generalizzare di essere sempre impacciato in situazioni sociali, quando questo è vero solo 3-4 volte su 10: questa convinzione diventa limitante per la sua esperienza, poiché potrebbe decidere di non voler più stare in compagnia di altre persone.
La “cancellazione” è quel procedimento per cui, selettivamente, prestiamo attenzione ad alcune dimensioni della nostra esperienza e ne escludiamo altre. Può essere utile quando ci concentriamo su un quadro che stiamo osservando in un museo pieno di persone e di rumori di sottofondo. Diventa problematico quando il ragazzo dell’esempio precedente, anche di fronte ad un amico che non lo ha visto impacciato nell’ultima uscita insieme, cancella questa informazione, poiché va contro all’idea di essere “sempre” a disagio in situazioni sociali.
La “deformazione”, infine, è quel meccanismo per il quale operiamo cambiamenti nella nostra esperienza dei dati sensoriali. Ad esempio, la fantasia aiuta a prepararci in anticipo ad esperienze possibili: un colloquio di lavoro o una festa con tante persone. E il ragazzo impacciato? Fantasticherà di non dire una parola, rimanere in disparte e poco interessato agli occhi degli altri: la fantasia in questo caso condiziona talmente la realtà da sovrapporsi ad essa.
Il modello fino ad ora descritto è uno strumento davvero prezioso nelle relazioni di aiuto: il cambiamento desiderato dai pazienti può essere inteso come l’arricchimento della loro esperienza del mondo. Per accedere alla rappresentazione che la persona ha del mondo prestiamo estrema attenzione alle parole e alla forma in cui comunica il suo vissuto. Lo accompagniamo, attraverso domande specifiche, in una nuova narrazione in cui lo aiutiamo a rendere esplicito e completo il modo in cui rappresenta le sue esperienze passate, le sue esperienze presenti e le sue possibili esperienze future.
In conclusione alcuni esempi di generalizzazione, cancellazione e deformazione, con una possibile domanda del terapeuta (tra parentesi). “Mi sento sempre a disagio quando sono con gli altri” ovvero “generalizzazione” (sempre?); “Sono il peggiore” ovvero “cancellazione” (rispetto a chi? A che cosa?); “Visto che lavorare è duro, mollerò, ovvero “deformazione” (quindi non può affrontare qualcosa di duro?) (a cura di Guido Paolopoli).
28 settembre 2018