L’uscita del cieco dal buio e la tenebra dei falsi vedenti
Chi ha la supponenza di essere nella luce non vedrà il volto dell’altro e nemmeno la verità delle persone che dice di amare. Il bisogno della luce vera
Il Vangelo di Giovanni dedica un intero, lunghissimo capitolo (il 9) a un “esodo” molto speciale: quello che compie un uomo cieco attraversando il corridoio del sogno che dal buio porta alla luce. Un miracolo straordinario che Gesù opera per la compassione che prova verso un uomo i cui occhi erano chiusi sin dalla nascita. Il modo in cui lo fa incuriosisce: «Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va’ a lavarti nella piscina di Siloe… quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva». La saliva di Gesù è come un seme di fecondità, un ruscello di vita novella che, mescolata al fango della terra – materia di cui è fatto il corpo umano – vitalizza l’intera persona, colmandola di salute e salvezza.
La scena, alla sua conclusione, appare di una tale liberazione che anche noi, immaginandola, tiriamo un respiro di gioia: un cieco ha riacquistato la vista! L’assenza della vista è, certo, una prigione poiché è l’assenza della luce fisica, dei colori, del panorama dei prati, delle montagne, del mare e, ancora più doloroso, dei volti delle persone amate. Nel Vangelo di Marco il cieco di Betsaida, anch’egli guarito da Gesù, vede, infatti, per prime le persone: «Vedo la gente perché vedo come degli alberi che camminano», egli disse, prima di distinguere tutte le altre cose ch’erano al mondo (Mc 8,24). Gesù è la fonte della luce, Gesù – dice Giovanni – è la luce stessa, e quella di far uscire dal buio tutti i ciechi sarà la sua missione: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista» (Lc 4,18).
Ma l’esodo dalla cecità non riguarda soltanto il senso della vista. C’è, infatti, una tenebra ancor più insidiosa che copre, specialmente, il cuore di coloro che credono di vedere tutto, chi si ritiene intelligente e sensibile solo perché gode della funzione degli occhi esteriori. Gesù sbugiarda i falsi vedenti, quei farisei che gli domandano con un tono di sfida: «Siamo ciechi anche noi?». Tremenda è la sua risposta per tutti quelli che la pensano come loro: «Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». Chi ha la supponenza di essere nella luce farà fatica ad accorgersi del muro di tenebra in cui proprio la superbia lo inchioda; non vedrà il volto dell’altro e nemmeno la verità delle persone che dice di amare. Ci sono quelli, poi, che costruiscono per sé un mondo di carta – o virtuale, diremmo oggi – dove chiudersi dentro come il baco nel bozzolo del proprio egoismo, interesse, della propria mediocrità. Credono di vedere invece patiscono della peggiore specie di miopia, poiché «non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere». Forse tutti noi abbiamo bisogno di riconoscere l’opacità oggettiva delle lenti con cui guardiamo le cose e, quindi, di andare a lavarle, alla piscina di Siloe, come fa il cieco nato, finché non appaia la luce vera, «quella che illumina ogni essere umano».
17 gennaio 2022