L’ultimo saluto ad Appignanesi, «vescovo pellegrino»

A San Pietro le esequie celebrate dal cardinale Angelo Comastri: «Infondeva serenità, con coraggio prese coscienza della morte imminente»

A San Pietro la Messa di esequie celebrata dal cardinale Angelo Comastri: «Infondeva serenità, con coraggio prese coscienza della morte imminente»

«In monsignor Ennio Appignanesi c’erano tutti i tratti del pastore buono. Amò le sue diocesi con l’entusiasmo del cuore semplice, infondendo in tutti la gioia di essere discepoli di Gesù, nella fedeltà senza discussione alla sua Chiesa. Caratteristiche che hanno sempre accompagnato il suo stile pastorale». Con queste parole, il cardinale Angelo Comastri ha voluto ricordare l’arcivescovo Appignanesi, ex vicegerente del Vicariato di Roma, durante l’omelia della Messa di esequie celebrata sabato mattina, 28 marzo, nella cappella della Cattedra della basilica di San Pietro.

La Messa è stata concelebrata dall’attuale vicegerente del Vicariato, l’arcivescovo Filippo Iannone, dal vescovo Vittorio Lanzani, e da una quarantina di sacerdoti che lo hanno conosciuto, molti dei quali parroci della diocesi di Roma e della diocesi di Potenza, dove è stato arcivescovo. Nelle parole del cardinale Comastri, che ha presieduto la Messa, si ritrova il motivo di tanto affetto e gratitudine. «Il 3 luglio 1985 – ha proseguito il porporato – arrivò la chiamata a tornare a Roma come vicegerente. Il suo ritorno fu un viaggio tra amici che gli volevano bene. Per la serenità che infondeva e l’equilibrio con cui agiva. E la disponibilità a correre dovunque venisse chiamato. Presto dovette rimettersi in viaggio. Diceva di se stesso: “Ho fatto il vescovo pellegrino. Non facevo in tempo ad aprire le mie valigie che dovevo subito già riprepararle”. L’obbedienza lo portò poi nella diocesi di Matera Irsina e poi nella diocesi di Potenza-Muro Lucano Marsico-Nuovo. E lì ricominciò con sereno entusiasmo. Posso di lui testimoniare che in tanti anni di frequentazione e amicizia non ho mai sentito una parola malevola verso qualcuno, mai».

Il porporato ha ricordato l’ingresso, nel 2002, nel Capitolo vaticano e raccontato la coraggiosa presa di coscienza, da parte di monsignor Appignanesi, della morte imminente. «Poco tempo fa ebbe un malore durante la preghiera del vespro. Quando lo contattai per avere notizie, mi rispose scherzando: “È suonato il campanello, sarà meglio che prepari la valigia ancora una volta, e per l’ultima volta. Probabilmente toccherà a lei a farmi il funerale. Non esageri troppo, perché poi nessuno ci crede e il Signore sarà costretto a fare la radice quadrata”. Giovedì scorso – ha concluso il cardinale Comastri – è tornato al Signore dopo aver celebrato la messa dalle Oblate del Sacro Cuore di Gesù, per le quali aveva affetto immenso e altrettanta gratitudine».

In prima fila nell’assemblea, raccolto in preghiera su un banco a parte, il cardinale Giovanni Coppa, che lo aveva conosciuto, proprio nel 2002. «Don Ennio – ha raccontato il porporato – era veramente un pastore. Non ha mai preso posizioni per farsi ammirare. Era un servitore della Chiesa. Eravamo in ottimi rapporti. Lui era stato fatto canonico del Capitolo di San Pietro, dopo che io fui eletto cardinale. Mi ha sempre trattato in modo benevolo. È stata una vera amicizia la nostra. La sua intelligenza, la sua generosità, il suo spirito meritano di essere conosciuti, non solo oggi, ma per l’avvenire. Ora conto sulla sua intercessione, da “lassù”».

Monsignor Giuseppe Mani, arcivescovo emerito ed ex direttore del Pontificio Seminario Romano, è stato viceparroco a Santa Maria Consolatrice al Tiburtino a Casal Bertone, nel periodo in cui monsignor Appignanesi era parroco. Di lui racconta che «era il “Signor Parroco”, ma il servo di tutti, il primo ad alzarsi la mattina e l’ultimo ad andare a dormire la sera, la sua macchina, eternamente in riserva, era al servizio di tutti. Non ritirava lo stipendio ma lo capitalizzava in Vicariato perché serviva per i campeggi estivi, non aveva mai un soldo in tasca. Amava Dio e la Chiesa più di se stesso e questo è quello che conta e che vale. Nella mia non breve esperienza umana e sacerdotale mi è raramente capitato di conoscere una persona più disinteressata e distaccata da se stesso di don Ennio, veramente morto a se stesso. Don Ennio era davvero un bel cristiano».

Presenti alle esequie anche molti parroci romani che avevano conosciuto monsignor Appignanesi o lavorato con lui come don Federico Corrubolo, parroco di Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste: «Lo conosco perché ha celebrato molte volte le cresime nelle parrocchie dove sono stato parroco: Santa Maria ai Monti e Dio Padre Misericordioso. Il suo soprannome, che lui stesso diffondeva, era “sua emergenza”, perché veniva a celebrare le cresime quando ce n’era il bisogno. Non è facile parlare alla gente in maniera semplice come faceva lui. Mi lega al ricordo di monsignor Appignanesi anche un fatto personale. Quando mia madre è stata malata, io sono stato ospite delle Suore di via del Casaletto. Lui, che era già in pensione, mi fu molto vicino, con molta discrezione. Abbiamo lavorato insieme quando una decina di anni fa mi fu chiesto di scrivere la storia dell’ordine delle Oblate del Sacro Cuore di Gesù. In questa Messa ho visto molte lacrime, perché monsignor Appignanesi era un uomo buono».

30 marzo 2015