Luglio 1985, Poletti nominato presidente della Cei

L’annuncio su Roma Sette della decisione del Papa. Appignanesi vicegerente della diocesi di Roma

Alla sua Diocesi il Papa “ha chiesto un atto di fiducia e ha fatto un dono”. In questi due emistichi, il Cardinale Ugo Poletti ha riassunto il suo pensiero, la sua preoccupazione e la sua interiore soddisfazione nel comunicare, il 3 luglio scorso, la duplice notizia della sua nomina a Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e dell’assegnazione alla diocesi di Roma di un nuovo Vicegerente, nella persona di S.E. Mons. Ennio Appignanesi.

A nessuno dei presenti è sfuggita la delicatezza di questa formula inattesa. Erano presenti, con i Vescovi Ausiliari, Ragonesi e Salimei, tutti i collaboratori del Vicariato e con il Segretario Generale S.E. Mons. Caporello una larga rappresentanza degli uffici nazionali della CEI. Lì, nella duplice famiglia, le parole di modestia e quasi di pudore sono state subito comprese nella loro dimensione di alto riconoscimento per l’uno e di esigenza di paternità e di cordialità per l’altra.

La nomina del Cardinale Poletti certamente non era stata dall’estemporaneità e dal caso: sono ben lontane dalla realtà le multiple illazioni, in buona o cattiva coscienza, escogitate dalla stampa. Il Cardinale Poletti si era posto all’avanguardia in questi ultimi anni per la difesa dei principi etici e sociali dell’attuale società: ci riferiamo alle buone battaglie per la difesa della famiglia, per la sacralità della vita umana in tutti i momenti e le circostanze della sua imprescindibile intangibilità, per ogni forma di emarginazione che a Roma ha avuto un esemplare contrapposto nell’attività della Caritas; e nessuno ha dimenticato la sua fermezza nel non cedere ad ambiguità e subdole confusioni nel rapporto sempre doveroso, ma mai succube con l’amministrazione politica di segno diverso. Il Cardinale Vicario e la diocesi del Papa sono state e resteranno ben evidenziate in una storia della pastorale attuale: un cammino postconciliare che, superati i trabocchetti in una superficiale attenzione ai dettagli, si è riservata, viva come non mai, sulla strada maestra che forma tutt’uno con la tradizione intramontabile della Chiesa.

Questo il Cardinale non l’ha detto, ma non dovrebbe essere lontano dalle ragioni determinanti di una scelta, che doveva superare scogli ben pensanti, primo fra tutti quello d’una recente, gravissima infermità e quello dell’età, voglia o no, incombente. Invece il Card. Poletti ha detto, nel suo breve discorso di illustrazione della “notificazione” che aveva preparato per i suoi parroci e per tutta la diocesi, come era ben consapevole del momento “ricco, ma difficile” che stava attraversando la Chiesa italiana: ricco perché la CEI aveva fatto degli enormi passi im avanti, crescendo nell’affettivo collegiale – tra Vescovo e anche tra le stesse diocesi – e creando un nuovo stile di vita religiosa e missionaria che fosse in armonia e in legittima autodifesa con i mutamenti socio-religiosi dei nostri tempi.

La difficoltà dell’oggi e del domani della Chiesa sta appunto nel discernimento delle forme e delle situazioni che il nuovo concordato ha potuto imporre alla Chiesa italiana, chiamando direttamente in causa la responsabilità della CEI. In particolare il Card. Poletti rilevava i prossimi problemi per il sostentamento del clero, da cui potevano emergere testimonianze ben più alte di fraternità e di comunione, e quelli per l’insegnamento della religione nella scuola elementare e media-superiore, e quelli per i matrimoni nella loro valenza giuridica e civile. Il nuovo Presidente della CEI si rivolgeva perciò con affetto e tanta fiducia al Segretario Generale della CEI e a tutti i suoi degnissimi collaboratori, ponendo nella loro esperienza e nella loro saggezza il suo richiamo alla doverosa supplenza in tutte le sue inevitabili difficoltà.

Per il dono alla diocesi del nuovo Vicegerente Mons. Ennio Appignanesi, il Card. Poletti aveva semplici e commosse parole di augurio. Aveva avuto da lui numerose prove di bontà, capacità pastorale, spirito partecipativo, generosità d’impegno negli anni – circa una ventina in tutto – in cui fu parroco a Casal Bertone. Questo gli aveva consentito una larga conoscenza delle persone, dei problemi, delle attese di Roma.

Il suo ritorno, ad altro più impegnativo incarico, potrebbe significare in nuovo cuore e un nuovo sguardo, riflessi di maturate esperienze. Se potessimo avanzare una ipotesi è quella d’un Pastore che sappia favorire e curare le “pecore” più che gli “agnelli”. A tanti sacerdoti di Roma, in cura d’anime o no, in comunità o no, cioè in troppa solitudine, non dispiacerebbe certamente un punto di riferimento, comprensivo e discreto, per i loro interrogativi, umani e spirituali. (di Elio Venier)

 7 luglio 1985