“Love life”, un inno alla bellezza

La pellicola di Fukada presentata alla Mostra di Venezia. Un racconto che coinvolge tre esseri umani. Al centro, la nuova, sofferta ricerca di dialogo tra marito e moglie

Quest’anno l’edizione numero 79 della Mostra del Cinema di Venezia ha avuto uno svolgimento in crescendo. Cominciato con alcuni titoli in tono minore, col passare dei giorni il livello della proposta si è alzato e i film in grado di competere per i premi finali sono a poco a poco aumentati, così da creare qualche imbarazzo alla Giuria, presieduta dall’attrice americana Julienne Moore. Restando fermi alla sezione principale (quella dei film in concorso), che ha assegnato il Leone d’oro, un titolo certamente risalta tra gli altri. Stiamo parlando di Love Life.

Si tratta, diciamolo subito, di un film di produzione Giappone/ Francia ma interamente giapponese quanto ad ambientazione e caratteristiche. I cinefili (gli appassionati del cinema di una volta) ricorderanno certo Rashomon, il famoso film che nel 1951 vinse il Leone d’oro rivelando al mondo il cinema giapponese. Da allora il Giappone ha passato fasi più o meno fortunate, con momenti di richiamo forte come questo film visto a Venezia.

Love Life è diretto da Koji Fukada, oggi considerato uno dei maggiori autori del cinema giapponese contemporaneo. Protagonista del film è Taeko. All’inizio della storia la vita di Taeko scorre tranquilla, accanto al marito e al figlioletto Keita. Quando la vicenda ha preso il via, un evento drammatico arriva a sconvolgere la quotidianità della famigliola. In un momento di lontananza dei genitori, il piccolo Keita scivola nella vasca bagnata, batte la testa e muore sul colpo. Conseguenza diretta di questa tragedia è il ritorno del padre biologico del bambino; Park e Taeko avevano tempo addietro divorziato, e dell’uomo si erano perse le tracce. La disgrazia, tanto improvvisa quanto traumatica, sconvolge i rapporti della seconda coppia.

La novità è che la decisione di rendere sordo il personaggio di Park si è tramutata nella sfida di aumentare la tensione che esiste nel triangolo amoroso tra Taeko, Jiro e Park. Il linguaggio dei segni apre così nella narrazione un’ampia varietà di idee visive e cinematografiche. È un racconto che coinvolge tre esseri umani. Col procedere della trama, la sfida si fa più serrata. La distanza diventa un elemento importante, la morte del piccolo Keita resta sullo sfondo come momento ineliminabile e lutto difficile da assorbire. A poco a poco emerge l’umanità dei protagonisti, che si riflette nella capacità di vincere il dolore e ritrovare un senso alle cose.

Il rapporto tra marito e moglie emerge nella parte finale in tutta la sua potente suggestione. C’è tra marito e moglie una nuova, sofferta ricerca di dialogo, di comprensione. Il finale si distende in una forte ricerca di perdono. Così Love Life diventa un dolce, tenero inno alla bellezza e alla gentilezza. Forse proprio quell’approccio che ci aspettiamo dal cinema giapponese.

27 settembre 2022