L’omaggio di Wajda a Lech Walesa

La materia da dipanare è tanta, severa e incandescente. Col pretesto del flash-back, spezzoni di cinegiornali si inseriscono nel corpo della finzione ma manca l’occhio poeticamente visionario

Tagliato il traguardo degli 80 anni, Andrzej Wajda non smette di credere nel cinema come luogo privilegiato nel quale storia e cronaca, memoria e denuncia trovano una sintesi stimolante, graffiante, opportuna. Esordiente nel lontano 1954, Wajda esce in sala con il suo ultimo film, Walesa. L’uomo della speranza. Lech Walesa è personaggio di rilievo assoluto, che ha guidato la transizione della Polonia verso la democrazia e l’apertura all’Europa occidentale. Una figura di tale importanza non dovrebbe avere bisogno di ulteriori presentazioni, ma l’obiettivo del decano Wajda è soprattutto quello di comporre un ritratto come punto di partenza per una nuova conoscenza.

Per questo motivo l’approccio è principalmente di tipo «didascalico». Si comincia infatti nel 1981 quando la giornalista italiana Oriana Fallaci arriva a Varsavia e, nella casa dove lui vive con la moglie Danuta e i figli, sottopone Walesa a una lunga intervista che ripercorre i fatti fino allora successi. Che sono forti, sconvolgenti e scuotono nel profondo la vita del Paese satellite dell’impero socialista. Il flash-back parte dal dicembre 1970, quando un Walesa 27enne è tra i promotori dello sciopero nel cantiere navale di Danzica. Sul finire del decennio si fanno più stretti i contatti con i giornali dell’opposizione e il Comitato di difesa degli operai.

È del 1983 la proclamazione dello «sciopero di solidarietà» insieme ad altri gruppi di protesta. A varie riprese Walesa entra ed esce dal carcere, fino a quando nell’ottobre 1983 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Pace che il 12 dicembre Danuta va a ritirare a Stoccolma a nome del marito impossibilitato a lasciare il Paese. La strada per questo riconoscimento era stata aperta nell’ottobre 1978 con l’elezione a Pontefice di Karol Wojtyla. Ma il rinnovamento non si ferma, ed ecco Walesa, capo riconosciuto di Solidarnosc, venire eletto nel dicembre 1990 presidente della Polonia.

La parabola di Walesa, politica e sociale ma anche spirituale e umana, arriva a disegnare un cerchio perfetto di dedizione, passione, solidarietà. La materia da dipanare è tanta, severa e incandescente. Col pretesto del flash-back, spezzoni di cinegiornali si inseriscono nel corpo della finzione. Ma un certo occhio, stringato, aspro, poeticamente visionario sembra mancare all’appello. Wajda si adagia sul già detto e sul convenzionale. Il furore della lotta politica, lo spirito della ricostruzione di un Paese, di una rinascita dalle ceneri del comunismo, di un nuovo senso dell’umanità fondamento della società è ben presente senza particolare vigore. Ma probabilmente la Storia ha già espresso il proprio verdetto. E Wajda resta un grande maestro di cinema.

9 giugno 2014