Lo spazio di Dio per il suo abbraccio
Da Israele ai cristiani di oggi, l’invito a interrompere settimanalmente il flusso del lavoro e l’ansia della sua fatica per aprire una porta alla festa
Dopo il ritorno di Dio alle tende d’Israele, nel suo cammino nel deserto del Sinai, Mosè ordina che si celebri un Sabato solenne. Un giorno dedicato a lodare il Signore della misericordia e del perdono, il Dio clemente, fedele, lento all’ira e ricco di grazia, nell’intera vita di Israele: nel passato, nel presente e nel futuro. Tutti dovranno fermarsi, in quel sabato, per accogliere l’Alleato che torna a stare con loro, per conoscerLo, avvicinarsi a Lui, per imparare ad amarLo. Per godere senza distrazioni ad altri pensieri della sua presenza, per contemplare l’Amato e gustare il riposo profondo del corpo e del cuore dentro al Suo abbraccio. È il giorno del riposo sabbatico! Un tempo di silenzio e d’intimità in cui anche Lui potrà ristorarsi alla fonte dell’Amata che è Israele.
Israele deve imparare a dare un tempo a Dio. Quanto valeva per essa, fin dal tempo dell’Esodo, vale anche oggi per i cristiani: l’invito a interrompere settimanalmente il flusso del lavoro e l’ansia della sua fatica per aprire una porta alla festa! I più anziani tra noi ricordano quale netto chiaroscuro si irradiasse, una volta, tra il tempo feriale e quello festivo, e come i giorni ordinari fossero totalmente diversi dalla domenica. La festa era fatta di riso, di luce, di spensieratezza, del profumo dei vestiti nuovi, dell’aroma di pulito che inondava anche l’aria. La domenica era magica davvero, scorreva leggera, libera, felice, sapeva di cibi prelibati, di mense imbandite e allargate, di incontri straordinari. C’era tempo da perdere in piacevoli conversazioni, in giochi e balli, oltre che in litanie di ringraziamento e supplica a Dio.
Ancorché a dare a Dio un tempo, Mosè chiede agli Israeliti che Gli diano anche uno spazio. Vuole costruire un santuario, una casa dove il popolo possa pensarlo, sentirlo compagno e andarlo a visitare. Il Dio della Bibbia, si sa, non ammette che si pensi a Lui come a una figura materiale e non ha certo bisogno di un santuario dove rifugiarsi. Egli è in cielo, in terra e in ogni luogo ma, specialmente, nel corpo dell’umano, nelle nostre famiglie dove arde l’amore fraterno, acceso dallo Spirito che è Amore. Ma Israele ha bisogno di figurarsi concretamente, di avere un simbolo della presenza di Dio con lei e risponde all’invito di Mosè.
Ognuno porta quello che ha e collabora con quello che sa fare alla costruzione del Santuario del Signore. Bello è questo Dio che si fa così povero da chiedere una casa “popolare” costruita per Lui gratuitamente da coloro che lo amano. Bello è questo popolo pellegrino, che non ha alcuna garanzia circa il proprio futuro ma che dona tutto il meglio di sé per ospitare il suo Dio come un principe, come un re, come un figlio! «Vennero uomini e donne, quanti erano di cuore generoso e portarono fermagli, pendenti, anelli, collane (…) tutte le donne esperte filarono con le mani e portarono filati di porpora viola e rossa, di scarlatto e di bisso; gli Israeliti portarono la loro offerta volontaria al Signore». Fu così che Dio ebbe la sua Dimora sulla terra, costruita dalla bontà del cuore umano.
19 ottobre 2020