«L’Italia riconosca lo Stato di Palestina»: appello della PerugiAssisi

La Fondazione ricorda che «oggi lo fanno altri tre Paesi europei: Spagna, Irlanda e Norvegia». E chiede che il governo italiano «sostenga la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale»

«Spagna, Irlanda e Norvegia riconoscono formalmente lo Stato di Palestina. Perché lo fanno? Perché non lo fa anche l’Italia?”». A domandarlo e denunciarlo è la Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, che insieme al Centro di ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova lancia un appello al governo. «La decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia è un segno concreto della volontà di riconoscere il diritto all’esistenza del popolo palestinese contro il folle ma evidente tentativo di disumanizzarlo e di espellerlo dalla propria terra – affermano le due organizzazioni -. Riconoscendo formalmente lo Stato di Palestina si riconosce il diritto dei bambini, delle donne e degli uomini palestinesi di poter godere della stessa dignità, degli stessi diritti, della stessa libertà e della stessa sicurezza che sono riconosciuti agli israeliani. 139 Stati nel mondo lo hanno già fatto e presto saranno seguiti da altri Paesi come la Slovenia, Malta e il Belgio. Perché non lo fa anche l’Italia?».

La richiesta avviene nei giorni drammatici delle vittime innocenti a Rafah: «Bruciati vivi – denunciano le due associazioni -. Negli ultimi giorni, decine di bambini e donne palestinesi sono stati uccisi così, dal fuoco delle tende in cui si erano rifugiati nel disperato tentativo di sfuggire ai bombardamenti più indiscriminati della storia. Il 10 maggio, 143 Stati dell’Onu si sono detti favorevoli all’istituzione immediata della Palestina come 194° Stato membro dell’Onu, con i confini del 4 giugno 1967 e Capitale Gerusalemme Est. L’Italia si è astenuta. La continuazione del massacro di Gaza ci mette tutti davanti alle nostre responsabilità. Sappiamo, vediamo, ascoltiamo ma cosa facciamo?».

D’altra parte, la condotta di Israele è stata condannata dalla Corte internazionale di giustizia e dalla Corte penale internazionale: «Le due massime giurisdizioni mondiali indipendenti e imparziali hanno messo lo Stato di Israele di fronte alle sue gravissime responsabilità nella guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza, nonostante le forti e inammissibili pressioni degli Stati Uniti. La Cig si è pronunciata nuovamente con l’ordinanza del 24 maggio 2024 nella quale ha ribadito che “le misure provvisorie indicate nelle sue ordinanze del 26 gennaio 2024 e del 28 marzo 2024 devono essere immediatamente ed efficacemente attuate”. La Cig ha altresì stabilito che “lo Stato di Israele, in conformità con gli obblighi assunti con la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio e in considerazione del peggioramento delle condizioni di vita dei civili nel Governatorato di Rafah”, deve rispettare le seguenti misure provvisorie: interrompere immediatamente l’offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, totale o parziale; mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari; adottare misure efficaci per garantire l’accesso senza ostacoli alla Striscia di Gaza di qualsiasi commissione d’inchiesta, missione d’indagine o altro organo investigativo incaricato dagli organi competenti delle Nazioni Unite di indagare sulle accuse di genocidio».

Le recenti e ripetute ordinanze della Cig e le richieste di mandato d’arresto della Corte penale internazionale «ci dicono che il diritto internazionale è vivo, che gli Stati hanno l’obbligo di rispettarlo e che il Consiglio di sicurezza ha l’obbligo di agire per ristabilire la legalità internazionale – si legge nell’appello -. A Gaza deve subito operare, sul terreno, la comunità internazionale. Nessun governo, tanto meno quelli che violano la legalità, può invocare la sovranità nazionale e il principio di non-ingerenza negli affari interni per impedire che l’Onu intervenga per proteggere la popolazione palestinese e creare terreno fertile per l’attività della diplomazia e della politica del dialogo e della cooperazione. I nostri governanti devono una volta per tutte decidere da che parte stare. Dalla parte dell’Onu, del multilateralismo e del diritto internazionale, oppure dalla parte di coloro che, in una logica ancora tutta hobbesiana, westfaliana, statocentrica e dunque belligera, rifiutano autorità sopraordinate agli Stati, agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare le norme internazionali stabilite con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale. Non c’è una via di mezzo. Quei governanti che rifiutano la centralità del diritto e delle istituzioni (democratiche) anche per il sistema della politica mondiale si pongono al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della legge. Dunque un progetto criminale».

In conclusione, «l’Italia e l’Unione Europea che hanno nel loro dna i valori del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello stato di diritto non possono più tacere. Non hanno più alibi. Devono dire ai cittadini e alle istituzioni che invocano pace e giustizia da che parte stanno».

29 maggio 2024