L’iper-estremismo islamico annienta la libertà religiosa

Presentata la XIII edizione del Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre. Meno diritti in 11 dei 23 Paesi responsabili delle più gravi violazioni

Presentata la XIII edizione del Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre. Meno diritti in 11 dei 23 Paesi responsabili delle più gravi violazioni 

Una sensibile diminuzione della libertà religiosa e sempre più violenza causata dall’iper-estremismo islamico. In due anni, dal giugno 2014 al giugno 2016, questo diritto va sempre più scomparendo in 11 dei 23 Paesi responsabili delle più efferate repressioni a sfondo religioso. In altri sette Paesi appartenenti alla stessa categoria, queste violazioni risultavano già tanto gravi nel biennio precedente da non essere inquadrate in un’ulteriore categoria nonostante gli aggravamenti. È quanto risulta dal rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) presentato questa mattina, 15 novembre, nella sede dell’Associazione stampa estera.

Nel 55% dei 38 Paesi in cui si verificano gravi violazioni la situazione è stabile, mentre soltanto lnell’8% (Bhutan, Egitto e Qatar) è migliorata. A presentare il rapporto è stato il direttore di Acs Italia, Alessandro Monteduro, che ha sottolineato particolarmente un risultato: «A livello mondiale, non sono i governi i principali responsabili delle persecuzioni religiose, bensì le organizzazione fondamentaliste o militanti. Queste sono causa di persecuzione in 12 delle 23 nazioni in cui si registrano i casi più gravi».

Si tratta «della grande “novità” del ventunesimo secolo – ha spiegato, nel suo intervento, il giudice costituzionale Giuliano Amato: se da un lato, infatti, vi è il permanere del fenomeno che ha caratterizzato i poteri dittatoriali del secolo scorso, soprattutto quelli che hanno abbracciato l’ateismo di stato, oggi viviamo nella situazione in cui le persecuzioni prescindono dal potere statale e non comportano la scelta anti religiosa ma il predominio di una religione sulle altre».

È il caso dell’iper-estremismo islamico, chiamato così per descrivere un processo di accresciuta radicalizzazione la cui espressione violenta non ha precedenti. Nel rapporto di Acs sono descritte le caratteristiche del fenomeno: un credo estremista unito ad un sistema legislativo e, in un secondo momento, a forme di governo radicali; tentativi sistematici di annientare e allontanare tutti i gruppi che non si conformano alla propria visione (inclusi i correligionari moderati e gli appartenenti ad altre tradizioni); estrema crudeltà nei confronti delle vittime; utilizzo dei social media per reclutare nuovi seguaci e per intimidire gli oppositori mostrando crudeltà; un impianto globale reso possibile da gruppi estremisti affiliati e reti di sostegno dalle più disparate risorse.

Una fotografia particolarmente
dettagliata del sedicente Stato Islamico che solo in questi giorni inizia a perdere terreno nelle roccaforti siriane. L’arcieparchia siro-cattolica di monsignor Jaques Behan Hindo confina a est, ovest e sud con i territori ancora occupati da Daesh. «La situazione continua ad essere grave nonostante i segni di cedimento delle bandiere nere – ha detto il sacerdote durante la conferenza stampa -. Oggi la nostra preoccupazione più grande è rappresentata però dalle milizie curde che cercano di affermare il proprio controllo sulla città di Hassakè e sulla regione».

Dalle parole di monsignor Hindo
si capisce quanto la situazione siriana sia confusa e affidata al caos più assoluto. Non c’è bianco o nero «chi oggi sta dalla tua parte domani potrebbe diventare tuo nemico: molti di quelli che prima combattevano con le milizie jihadiste ora prendono ordini dai curdi contro le armate governative». Oltre alla Siria, in Somalia e Afghanistan il rapporto segnala come estremismo e iper-estremismo islamico rappresentino un fattore chiave del massiccio incremento di rifugiati nel mondo, che nel 2015 sono aumentati di circa 5,8 milioni raggiungendo la quota record di 65,3 milioni.

Infine, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio ha ricordato quei Paesi, come India, Pakistan e Birmania, dove – come si legge nel rapporto – «la nazione si identifica con una particolare religione, e una maggiore tutela dei diritti dei fedeli del credo maggioritario va a svantaggio delle minoranze. Basti pensare ai maggiori ostacoli alle conversioni e alle più rigide sanzioni per il presunto reato di blasfemia». Prima di andare via – ha aggiunto Tarquinio – «vorrei ricordare il nome di due donne: Asia Bibi e Ishrat Akhond», la prima imprigionata in Pakistan con l’accusa (passibile di condanna a morte) di aver offeso Maometto, la seconda uccisa nella strage di Dhaka per essersi, lei musulmana, rifiutata di recitare il Corano davanti agli aguzzini. «Ci sono strade bagnate dal sacrificio e dal sangue dei giusti – ha concluso il direttore di Avvenire – che prima o poi ci porteranno a sconfiggere l’odio nel nome di Dio».

15 novembre 2016