L’intervento del cardinale Vallini alla presentazione della Lettera alla città

Di seguito il testo pronunciato dal vicario del Papa nella serata di presentazione della Lettera alla città, il 5 novembre 2015 nella basilica lateranense

Di seguito il testo pronunciato dal vicario del Papa per la diocesi di Roma nella serata di presentazione della Lettera alla città, il 5 novembre 2015 nella basilica lateranense

Il Giubileo della Misericordia a Roma:
un appello per la riscossa spirituale e civile della città

Il mio cordiale saluto a tutti loro e un grazie sincero per aver accettato l’invito a partecipare alla presentazione pubblica di questo nostro messaggio alla città ad un mese dal Giubileo. Un grazie particolare rivolgo a tutte le distinte Autorità civili, politiche, militari, accademiche, del mondo del lavoro e della comunicazione, e a tutti i rappresentanti delle comunità ecclesiali di Roma.

Il Giubileo

Fra un mese il Giubileo della Misericordia. Sono personalmente convinto che il Giubileo della Misericordia, per la densità biblica che il termine “misericordia” evoca, sia per tutti un’occasione preziosa, e per i cristiani anche una grazia, per riconsiderare i valori fondamentali e i punti di riferimento essenziali della vita, e di conseguenza per ripensare i propri atteggiamenti e i comportamenti quotidiani, in questo tempo di transizione complesso e, per tanti aspetti, confuso e sofferto.

Nell’Antico Testamento, il Giubileo fissava per il popolo ebraico un anno particolare, al termine di “sette settimane di anni” (Levitico 25, 8), dichiarando “santo il cinquantesimo anno” e proclamando per tutti “la liberazione”. La terra riposava: non si seminava, non si mieteva, né si vendemmiava, si raccoglieva soltanto l’indispensabile per sopravvivere. Ciascuno tornava in possesso del suo con la restituzione delle terre, avveniva la remissione dei debiti, nelle vendite e negli acquisti nessuno faceva torto al prossimo, gli schiavi erano liberati (cf. Lv 25, 10-15). Si ristabiliva così l’equilibrio e l’equità nelle relazioni umane e si affermava il principio che l’ingiustizia non era invincibile.

La parola “giubileo” deriva dall’ebraico Yovel (un corno d’ariete), che indicava una specie di tromba con cui si annunciava questo anno particolare e il go’el – che letteralmente significa il riscattatore – era colui che veniva incontro alle difficoltà di un parente, riscattando i beni di lui persi per debito. Nel Nuovo Testamento è Gesù, parente prossimo di ogni uomo, il go’el che riscatta l’umanità dal male e dalla morte. La parabola evangelica del buon samaritano è quanto mai illuminante al riguardo.

Il Giubileo della Misericordia

Con il Giubileo Papa Francesco chiama la Chiesa e tutti gli uomini di buona volontà, a riscattarsi, a rimettere in equilibrio le relazioni umane e sociali (cf. Lev. 50, 8-17). E’ un tempo favorevole di riconciliazione, un tempo per avviare processi personali e sociali umanizzanti. Un   invito – per così dire – ad una riscossa spirituale, morale e civile.

Per la Bibbia, la misericordia non è un sentimento da praticare in alcune circostanze. Dio è misericordia, il suo agire è misericordioso e attraverso l’opera dello Spirito Santo infonde in noi un dinamismo rinnovatore.

Il Giubileo dunque è scuola ed esperienza di misericordia, di gratuità ricevuta da Dio, da ridonare agli altri; è una mano amica che aiuta “a non precipitare nel gorgo dello smarrimento” (E. Olmi); è un regalo di umanità e di speranza.

Confidiamo che il Giubileo interroghi la nostra coscienza collettiva ed inviti ciascuno ad impegnarsi per un nuovo umanesimo: vale a dire a ripensare l’uomo non individuo isolato e chiuso in se stesso, teso a soddisfare egoisticamente le sue voglie, ma a ricollocarlo nella sua relazione con Dio, dentro la quale ricomprendersi e il suo complementare rapporto con gli altri.

Il Giubileo per la Chiesa e la città

La Chiesa di Roma ha accolto con gratitudine l’indizione del Giubileo, e desidera viverlo attraverso itinerari spirituali offerti a tutti, i quali aiutino a superare le incoerenze personali e dare un nuovo respiro interiore ed un nuovo impulso – una riscossa appunto – per una più matura e responsabile testimonianza umana e cristiana.

Ma la nostra attenzione si allarga alla vita della città, di cui siamo parte. Come tutti sappiamo, Roma oggi è afflitta da varie malattie che hanno indebolito il tessuto sociale e le stesse istituzioni. Ho avuto occasione di affermare qualche tempo fa che la nostra città – a me sembra – sia stata colpita da una diffusa anemia spirituale, che ha come annebbiato le alte e nobili visioni che salgono dalla sua storia e dal cuore dei suoi cittadini. Il Giubileo può essere un anno di presa di coscienza della realtà e di cura con una energica terapia che immetta nel corpo sociale sangue ossigenato per liberarlo come da una gabbia di stanchezza, di affaticamento, di rassegnazione, di rinuncia, e rianimarlo, riattivando e sviluppando le tante risorse sane presenti nella nostra città. Roma ha bisogno di riscoprire la sua vocazione   universale e di far rifiorire nuovi stili di vita, nella scia della sua storia millenaria.

In un mondo globalizzato, la vita   delle persone e della   città, insieme a molte opportunità, patisce tante sofferenze e grandi disuguaglianze, non solo economiche, nel contesto di una disordinata e confusa crescita urbana negli immensi quartieri di periferia, privi di progetto urbanistico e di decoro che umanizza la vita, e in un degrado che sembra essere prima di tutto umano ed etico. Per esemplificare, basti pensare alla mancanza del senso di appartenenza e di coesione sociale ad una comunità cittadina, divenuta sempre più anonima, che produce modi di vivere individualisti, alla diffusa mentalità di intolleranza reciproca, alle crisi familiari, ai ricorrenti atti di violenza (mi colpiscono particolarmente quelli sulle donne), all’allargamento e all’emarginazione delle fasce dei vecchi e nuovi poveri, alla corruzione, non solo a quella conosciuta dalle indagini giudiziarie, ma a quella indotta dalla diffusa mentalità prodotta da tossine che hanno infettato il corpo sociale così da tollerare, se non proprio da legittimare, l’illegalità, in una parola all’affievolimento dell’umanizzazione della vita sociale. In una “cultura dello scarto” – come ci richiama sovente il Papa – si affermano egoismi e indifferenza, anche negli ambienti più sani, che tendono a difendersi, isolandosi.

A fronte delle crescenti possibilità tecnico-scientifiche non corrisponde un uguale sviluppo di una forza morale ancorata a principi e criteri di moralità fondamentale, che appare confinata nell’ambito soggettivo e privato. Nella cultura dominante dove ogni persona si fa misura di tutte le cose (soggettivismo aggressivo) e ogni verità è considerata relativa (relativismo imperante), la spinta morale non sembra più avere rilevanza pubblica, così siamo impreparati a rispondere alle sfide e alle minacce che gravano sulla vita di tutti.

Una decina di anni fa, l’allora Card. J. Ratzinger ebbe ad affermare: “Il vero, più grave pericolo di questo momento sta proprio in questo squilibrio tra possibilità tecniche ed energia morale. La sicurezza, di cui abbiamo bisogno come presupposto della nostra libertà e della nostra dignità, non può venire in ultima analisi da sistemi tecnici di controllo, ma può scaturire soltanto dalla forza morale dell’uomo: laddove essa manca o non è sufficiente, il potere che l’uomo ha si trasformerà sempre di più in un potere di distruzione” (J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, Subiaco 1° aprile 2005, ed. Cantagalli, 2005, p. 20).

La radice della crisi

Si impone una domanda: qual è la radice culturale che ha favorito questa diffusa mentalità anche a Roma? Penso che, per quanto riguarda la nostra città, il nostro Paese e il più vasto mondo occidentale (perché la crisi che ci affligge non riguarda solo Roma), si possa rispondere che uno dei punti critici è la preponderanza della cultura illuminista radicale e secolare, in cui si è posto ed affermato come misura di tutto il valore assoluto della libertà autoreferenziale. A questo si è aggiunta la razionalità scientifica e la cultura tecnica, sempre più lontana da una dimensione antropologica. Questa prevalente visione ha come oscurato gradualmente la presenza di Dio fino ad escluderla dalla coscienza pubblica, rendendola irrilevante, ma anche messo in ombra la complessità dell’uomo stesso. Le relazioni umane e sociali ne sono state fortemente condizionate, anche per la pressione di crescenti rivendicazioni. L’individuo, che naviga in un mondo globalizzato, spesso rimane solo, sciolto da vincoli di ordine comunitario, se non da quelli determinati dalla coercibilità della legge, anch’essa molto spesso ininfluente.

Nessuno naturalmente nega che la cultura illuminista abbia favorito la maturazione di acquisizioni importanti: penso, ad esempio, ai diritti fondamentali dell’uomo che devono essere uguali per tutti; all’organizzazione statuale con la separazione dei poteri, soggetti a controllo; alla libertà di praticare la religione che si vuole, senza alcuna imposizione da parte dello Stato. Desidero richiamare soltanto che questa cultura, se viene generalizzata e radicalizzata, comporta una mutilazione dell’uomo. Essa dunque, a mio giudizio, è incompleta, perché taglia coscientemente una parte delle radici culturali della nostra storia, privandola di alcune sorgenti ideali dalle quali è scaturita – quali le alte motivazioni che nascono dalle convinzioni religiose – esaltando invece il principio che la capacità dell’uomo sia la misura del suo agire. Per cui ciò che l’uomo sa fare, diventa suo diritto farlo. Ma se questo saper fare non trova la misura in una norma morale, si trasforma – come possiamo costatare in tante tragiche vicende – in potere di sopraffazione o di distruzione e l’uomo è ridotto ad individuo in balia del più forte.

L’uomo mediatico poi, che predilige l’emozione all’argomentazione e al ragionamento, è di fatto confuso e disorientato, spettatore inerte di fatti ed eventi i quali, figli a loro volta del mito del progresso, deteriorano la casa comune e rischiano di strangolarla.

Nell’Enciclica Laudato sì Papa Francesco ha scritto: “In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di se stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia. […] Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, da possedere, da consumare, […] l’ossessione per uno stile di vita consumistico,…, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca” (LS, 203-204).

Il Giubileo, per una nuova ripartenza

Che cosa fare? Non è questo, ragionando con saggezza e lungimiranza, un tempo di rinascita personale e di riscossa sociale? Non ci è chiesto di cooperare responsabilmente insieme per la ripresa della nostra città? Il Giubileo può essere una ripartenza, può immettere in ciascuno di noi e poi travasare nel tessuto sociale cittadino energie positive che ci rendano capaci di superare i mali che ci affliggono per cooperare insieme al cambiamento, per avviare processi di vero sviluppo umano, che superando un troppo spinto individualismo che genera soltanto una moltitudine di solitudini, promuova meccanismi di socializzazione. E’ dunque un’opportunità da non perdere per una evoluzione nel sentire profondo e negli stili di vita, un uscire da se stessi per cercare gli altri, un “autotrascendersi”, infrangendo l’isolamento delle coscienze (cf. LS, 208).

La Chiesa – lo dico con sincerità – non ha smania di protagonismo, né intende dare lezioni a nessuno, e neppure puntare il dito o condannare persone e istituzioni, verso le quali anzi nutre rispetto e offre, per quanto le compete, collaborazione cordiale, consapevole che la gestione della cosa pubblica è cosa complessa, tanto più a Roma. La Chiesa nondimeno è consapevole che la vicenda umana è turbata dal peccato e che la sua   missione le chiede di non estraniarsi da chi le vive accanto e dall’impegno di “contribuire a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia” (GS. n. 40). Scopo di questa Lettera alla città dunque è di condividere gli affanni della nostra città, fare la sua parte, essere compagni di strada di tutti gli uomini di buona volontà, e incoraggiare a non perdersi d’animo dinanzi alle sfide che abbiamo davanti.

Desideriamo impegnarci anzitutto noi cristiani: pastori e fedeli. Noi per primi vogliamo intraprendere un cammino giubilare di conversione. Non possiamo non riconoscere che in tanti battezzati c’è un affievolimento dell’identità spirituale, con ricadute di incoerenza nei comportamenti. Nell’odierno contesto secolarizzato, in molte persone purtroppo il riferimento a Dio rimane sullo sfondo dell’anima, per cui si vive una sorta di “inquinamento dello spirito” che rende la vita più cupa e fa smarrire la speranza.

La fede, che spesso è soltanto dichiarata e non vissuta, deve essere di nuovo annunciata e accolta così da mostrarne la bellezza. La testimonianza dei cristiani, quando è credibile e gioiosa, scuote le coscienze impigrite o addormentate, suscita stupore e rimette in circolo comportamenti virtuosi con ricadute positive negli ambienti di vita, creando luoghi di discernimento e di educazione all’impegno sociale e civile. Vorrei sottolinearlo: negli ambienti di vita, lì i cristiani sono chiamati ad essere fermento di umanità.

Dirsi cristiani, cioè credere che Cristo è risorto (perché questo è il cuore della fede) non significa accendere una luce soltanto sul nostro destino eterno, ma anche immettere una forza nuova per vivere il presente e dare un contributo originale alla costruzione della città terrena. E’ una responsabilità che dobbiamo assumerci. I laici cristiani, che per vocazione sono impegnati a costruire le realtà del mondo ordinandole secondo Dio, non possono defilarsi dalle responsabilità della città e dalle fatiche di promuovere reti positive di vita sociale giusta e serena. Sono essi i primi ad avviare la riscossa di Roma per condividere con tutti, credenti e non credenti, obiettivi e progetti per una città degna dell’uomo.

Ma desidero accennare ad un altro aspetto, che chiama in causa tutti i cittadini di Roma, al di là delle proprie convinzioni religiose. Osservando la vita della città non posso non condividere quanto attenti studiosi e acuti analisti evidenziano da tempo, che cioè Roma ha urgente bisogno di una forte ripresa della qualità della vita quotidiana. Qualità della vita naturalmente significa legalità, tutela dei diritti, giustizia sociale, lavoro, efficienza dei servizi, ma significa anche senso civico, rispetto reciproco, buona educazione, solidarietà, magnanimità, mentre tante volte sembra che prevalga un istinto di difesa, di chiusura, di insicurezza, di sfiducia, di paura, che genera diffidenza, ostilità, tensione sociale. Sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso della inviolabile dignità di ogni persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali, che si esprimono nella responsabilità di tutti verso tutti e che danno senso alla convivenza civile.

Ho parlato all’inizio di “anemia spirituale”. Mi si permetta un’ultima riflessione. Se la luce di Dio non rischiara e riscalda la vita, l’orizzonte dell’uomo rischia di diventare angusto, freddo, si rimpicciolisce. Il cuore è più facile preda del consumismo senza etica, cresce la bramosia dei desideri di qualunque tipo, ci si separa dagli altri, chiusi nel proprio egoismo. Questo uomo è capace dei più orribili delitti. Gli manca il respiro dell’anima, che lo apra alla gratuità, alla misericordia appunto, alla voglia di cooperare ad una comunità umana degna di questo nome.

Roma ha bisogno – lo ripeto – di una forte riscossa spirituale, morale, sociale, civile, con la cooperazione di tutti. Non aspettiamo che comincino gli altri: ciascuno nel suo ambiente si faccia protagonista di buone idee, di proposte, di dialogo e di azione. Ricostruiamo attraverso nuovi processi un tessuto di umanità semplice e sincera, favorendo aggregazioni positive. Roma non manca di risorse esemplari. Conserva, per l’infaticabile impegno di tanti, meravigliosi talenti. C’è un reticolo di iniziative spontanee, associazioni, istituzioni che, ispirate da umanità e carità, possono creare coesione sociale. Necessitiamo di buoni samaritani che si facciano carico della città.

Assumiamo con coraggio il compito di trasmettere ai giovani l’eredità di una Roma migliore, superando il pessimismo e la rassegnazione.

Il nostro cordiale e umile appello è di impegnarci insieme a dare a Roma questa riscossa, con ottimismo e fiducia.

Il Giubileo può essere la linfa spirituale che rianima e rilancia la vita e la missione di Roma nel mondo.

Agostino Card. Vallini