“L’infinito” raccontato da Roberto Vecchioni

Il cantautore in concerto al Teatro Brancaccio il prossimo 11 dicembre, con una narrazione che tiene insieme la musica, la parola e l’immagine

Canta “L’infinito” evocando Leopardi, non pubblica sulle piattaforme streaming come scelta di resistenza culturale, parla d’amore per ciò che si fa e si vive, ha 76 anni ma non è affatto fané, anzi, ha ancora tante cose da dire e raccontare, soprattutto ai giovani di oggi. È Roberto Vecchioni, il professore della musica d’autore italiana, attualmente docente di “Forme di poesia in musica” all’Università di Pavia e membro della Giuria dei letterati del Premio Campiello, autore di saggi, recensioni letterarie e articolista per i più autorevoli giornali nazionali, oltre, naturalmente, “padre” di brani che hanno fatto la storia della musica italiana, da “Luci a San Siro”(1971) a “Samarcanda” (1977), per arrivare a “Figlio, figlio, figlio” (2002) o “Chiamami ancora amore”, con  cui ha vinto il Festival di Sanremo nel 2011.

Dopo il sold out nei più importanti teatri italiani farà nuovamente tappa a Roma, mercoledì 11 dicembre alle ore 21 al Teatro Brancaccio con “L’infinito tour”. La prima parte dello spettacolo, partito il 21 marzo scorso dal Teatro Colosseo di Torino e prodotto da DM Produzioni di Danilo Mancuso, è dedicata ai brani dell’album “L’infinito”, pubblicato nel novembre 2018, per poi lasciare spazio ad alcuni classici del repertorio del cantautore, in una narrazione che tiene insieme la musica, la parola e l’immagine. Il lavoro discografico racchiude 12 brani inediti, con musica e parole del cantautore, disponibile in formato Cd, in edizione Deluxe arricchita dal saggio “Le parole del canto. Riflessioni senza troppe pretese”, e in Vinile Limited Edition. Dall’ascolto emerge una narrazione che tiene insieme ritratti diversi: da Alex Zanardi a Giulio Regeni, dalla guerrigliera curda Ayse a Leopardi, che l’autore accomuna nell’amore per la vita. Un album manifesto, «non 12 brani – spiega Vecchioni – ma un’unica canzone divisa in 12 momenti», in una dimensione temporale verticale che rinvia al tema dalle suggestioni letterarie: la necessità di trovare l’infinito al di qua della siepe, dentro noi stessi.

Roberto Vecchioni sarà accompagnato dalla “band storica” costituita da Lucio Fabbri (pianoforte e violino), Massimo Germini (chitarra acustica), Antonio Petruzzelli (basso) e Roberto Gualdi (batteria). La regia è di Raffaello Fusaro e la realizzazione del visual concept è a cura di Niko Cutugno per Djungle Production.

Lei ha insegnato alla Cattolica di Milano come assistente di “Storia delle religioni”. Oggi canta l’Infinito. Che idea di infinito ha maturato in questi anni, a parte leggendo Leopardi?
È passata un’era, ci vorrebbe un libro di 200 pagine! La vita è fatta di piccole cose, piccoli momenti, ma ogni tanto lo sguardo si apre e aspiri a vedere più in grande, vedere cosa succede, il senso del mondo, della vita. Certo, l’hanno indagato persone molto più attrezzate di me, ma anch’io, nel mio piccolo, tento di sapere continuamente che senso ha stare qui. Allora va e viene l’idea di Dio, va e viene l’idea del doversi arrangiare, che tutto sia meglio o sia peggio. Tutto va e viene, come nuvole. Non è che l’idea che hai sul senso del mondo a vent’anni può essere uguale a quella di quando nei hai settanta. Ci si danno tante spiegazioni e una di queste, che è abbastanza riassuntiva è quella di un infinito che abbiamo dentro e che dobbiamo indagare.

Presentando l’album ha dichiarato che «emerge un mio concetto recente, nuovo, di grande amore per tutto ciò che si fa e si vive». Come ci è arrivato, alla sua età, a un «concetto nuovo»?
(ride) È vero! Ma non ci avevo mai pensato così profondamente, invece una delle conquiste più precise in questi anni è la quasi totale capacità di ribaltare il destino, di farcela da soli. Siamo noi a determinare la nostra vita; allora, in questo senso ti accorgi delle meraviglie che hai intorno. La vita è un concetto teorico ma quello che vivi tu, quello di cui ti accorgi, con le persone vicino, è realtà, è la bellezza delle gioie e dei dolori, che devi accettare.

Una vita al fianco dei giovani, eppure ha scelto di pubblicare il suo ultimo album alla vecchia maniera, senza piattaforme streaming e download. Qual’è il senso di questa scelta?
Questa è una rivoluzione, anche giusta, perché basta! Basta andare non dico controcorrente ma basta andare contro la facilitazione delle cose, la deculturizzazione delle cose, perché comprare questo disco a pezzi, da qualche parte, significa annientarlo. Non è un disco a pezzi, ma un oggetto tutto intero, va comprato tutto insieme. Non è che io sia contrario a internet, altre cose è giusto che ci siano, ma il mio disco non poteva stare nell’etere, che poi non è stata una scelta rovinosa: è arrivato a 40mila copie, senza streaming.

Quali sono le sue armi per contrastare questo periodo di precarietà culturale?
Questa è una battaglia! Ma la mia è una propaganda attiva e pacifica, un combattimento di parole, opinioni. Faccio tantissimi incontri nelle scuole, nelle università, scrivo romanzi, articoli.

Ma come ci siamo arrivati a questa precarietà culturale?
È un processo lento e graduale ma incontrovertibile: abbiamo iniziato a subire un contrordine sui valori, non esistono le idee ma esistono le cose. E quindi bisogna comprare, comprare, consumare, consumare, comprare, consumare.

La storia di Alex Zanardi, che ha ispirato “Ti insegnerò a volare”, in cui duetta con Guccini, è la metafora della «passione per la vita che è più forte del destino». Cosa cercano oggi i giovani, in base alla sua esperienza?
Per fortuna non possiamo mettere i giovani tutti nello stesso calderone. Quello che vediamo dai media ci fa immaginare giovani completamente allo sbando o arrabbiatissimi, a cui piacciono solo le cose che fanno, che non sanno fare altro.  Ci sono anche giovani che credono in Dio, quelli che manifestano per l’ambiente e per la politica. Purtroppo, in generale, la maggior parte dei giovani non si rapporta con la storia né con il senso della vita. Ci arrivano dall’Ocse dati sconfortanti sull’analfabetismo funzionale dei giovani, ed è una rovina, perché poi è automatico che si mettano ad ascoltare cattivi maestri e rischiano di sbagliare. Bisognerebbe riappropriarsi di quella parola magica che si chiama cultura, che non è una cosa complicata ma semplice, ma bisognerebbe dare un aiuto molto più grande alla scuola e all’istruzione e depauperizzare tutto ciò che è conquista del momento, ma che non serve a niente. Dobbiamo insegnare ai ragazzi a scorgere più in là e farlo subito, perché c’è già una spaccatura tra giovani che credono, vogliono, pensano e un gruppo di giovani che si sono arresi, e non è una questione di povertà o ricchezza ma di mentalità.

Colpisce che le prime righe della sua biografia pubblica sono dedicate alla sua famiglia: “Roberto Vecchioni è sposato con Daria Colombo, ha quattro figli”. È un caso o una scelta?
Beh, intanto è da aggiornare: ho anche quattro nipoti. Per me la famiglia è importantissima, è una base, e siamo tutti molto legati, abbiamo anche una pagina nostra online, “Vecchions”, dove ci aggiorniamo su quello che ci succede e soprattutto i figli mi prendono in giro ogni volta che sbaglio qualcosa!

Come sarà il concerto al Brancaccio?
“Concerto” è una parola bella, qui usata bene, in senso teatrale, perché non sono solo canzoni, che occupano la metà del tempo; nell’altra metà ci sono filmati, video, soprattutto monologhi anche divertenti, accenni culturali, tutto sul tema dell’importanza di amare quello che si vive.

6 dicembre 2019