L’Inferno di Dante e l’«impossibilità per l’uomo di salvarsi da solo»

Dedicato alla prima cantica della Divina Commedia l’incontro del percorso quaresimale nella basilica di San Giovanni in Laterano con Franco Nembrini. Reina: «Fare spazio alla Grazia»

È un approccio olistico all’intera opera, con uno sguardo allargato alle tre cantiche, «a cui il primo canto dell’Inferno fa da prologo», quello che Franco Nembrini, insegnante e saggista, ha proposto nel secondo incontro del percorso di Quaresima organizzato dalla diocesi di Roma e intitolato “A te convien tenere altro viaggio”, dedicato a “Dante pellegrino di speranza”. In una gremita basilica di San Giovanni in Laterano, ieri sera, 20 marzo, l’esperto ha infatti spiegato di voler «provare a dire della struttura e del modo in cui il percorso è costruito per poterlo così godere di più, avendo contezza di alcune caratteristiche fondamentali», laddove «la grande partenza dell’Inferno dice di fatto le leggi dell’intero viaggio».

Anche don Fabio Rosini, biblista e docente di Comunicazione e trasmissione della fede alla Pontificia Università della Santa Croce, nel suo saluto iniziale ha guardato per intero alla Divina Commedia, definendola «l’epopea del ritorno che in età classica già incontriamo con l’Odissea e l’Eneide» e dunque «la storia di uno che viaggia e ha una nostalgia nel cuore: nostalgia della luce, della bellezza che ci spetta e di Dio». Allora l’Inferno, «la parte più conosciuta», sono ancora le parole del sacerdote, aiuta a «prendere coscienza della povertà dell’uomo, fino a scoprire il male che abita in noi nel profondo», per risollevarsi e risalire poi verso il «sommo bene» a cui siamo chiamati.

Di «tensione originaria al bene con cui Dio ti ha messo al mondo» ha parlato Nembrini, in riferimento all’ammonimento di Virgilio che richiama lo spaventato Dante a «risanare il tuo desiderio e tornare alla tua bellezza originaria»; in particolare il relatore ha spiegato come spesso, come il Sommo Poeta, «facciamo fatica a vivere all’altezza del nostro desiderio» che equivale a pensare: «Non sono degno di essere me stesso e mi rifiuto di accettare l’altezza della vocazione a cui Dio mi ha chiamato». Per Nembrini è proprio in questo primo incontro con Virgilio, guida di Dante nei primi due mondi ultraterreni, «il punto decisivo della Divina Commedia», dato che «in ogni storia il punto decisivo è all’inizio, come il seme contiene già tutto dell’albero che sarà». Questo inizio, cioè, secondo il saggista «descrive l’inizio di ogni vita, di ogni impresa» perché all’apparire di una guida, «offerta e donata immeritatamente a Dante», il poeta comprende e riconosce la sua pochezza e che «da solo non può farcela», per cui pronuncia le sue prime parole di tutto il viaggio, ovvero «un’invocazione di pietà perché c’è un male così radicato in lui che gli impedisce il cammino», tenuto anche conto che «senza questo riconoscimento non c’è conversione possibile».

Già le tre fiere, «che rappresentano il peccato originale» e che avevano «respinto Dante nella selva», per Nembrini dicono «l’impossibilità dell’uomo a salvarsi da solo» e che «l’orgoglio è il grande peccato mentre l’umiltà è il suo antidoto». Da qui, la constatazione per cui «tutto il problema della vita dell’uomo», nucleo della Commedia dantesca, «è vedere come vede Dio», ossia «vedere la verità, riconoscendo la luce», poiché «l’oscurità equivale all’assenza di senso delle cose», sono ancora le parole dell’esperto. Di seguito, la notazione per cui «le 4 parole più ricorrenti nella Divina Commedia sono: occhi, bene, vide e mondo» sicché, ha illustrato Nembrini, «l’uomo viene al mondo e cerca nella realtà il bene, quello che Dante ha visto da protagonista del viaggio e che ci racconta come narratore», spingendoci a riconoscerlo anche «nella realtà concreta del mondo».

Infine, Nembrini ha spiegato come l’Inferno per Dante rappresenta una modalità di vita legata all’«impossibilità di cambiare e all’essere crocifissi per sempre al proprio male, senza possibilità di redenzione» mentre il Purgatorio «è la possibilità del cambiamento». Ancora, per Nembrini, «Dante ha la presunzione di collocarsi “di là” e di poter vedere la vita come la vede Dio», a dire che «il tema della Divina Commedia non è l’Aldilà ma l’aldiqua», ha concluso.

Affidate al cardinale vicario Baldo Reina le conclusioni. «Questa preziosa spiegazione ci ricorda la responsabilità di abbandonare i pensieri disfattisti per fare spazio a Colui che ci ha giustificati per Grazia», ha detto il presule, guardando alla lettera di Paolo ai Romani. In particolare Reina ha evidenziato come l’apostolo delle genti, dopo avere constatato che «tutti, pagani e giudei, hanno peccato e tanti sono privi dell’amore di Dio, capovolge la scena e con un passaggio repentino, come quello dall’Inferno al Paradiso, afferma che tutti sono giustificati per Grazia». Da qui l’invito finale del vicario del Papa a «vedere le nostre battaglie con questa luce e con grande umiltà».

21 marzo 2025