L’infanzia tradita da guerre, abusi e povertà

Al Pontificio Seminario Maggiore suor Tremarelli, della Pontificia opera per l’infanzia missionaria, ha raccontato le realtà più difficili affrontate dai bambini nel mondo

Oscar, 12 anni, vive in un orfanotrofio in un paese dell’America latina e rinuncia a una merenda più ricca per dare una parte dei propri soldi ai bambini più poveri di lui. Richard è ancora adolescente ma, in nord Uganda, imbraccia un kalashnikov e vive uccidendo. Due volti diversi dell’infanzia, una «missionaria», l’altra «tradita» al centro del primo incontro di formazione “La condizione minorile nel mondo: urgenze e sfide missionarie”. Durante l’iniziativa, promossa dal Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e l’Ufficio Migrantes della diocesi, sabato scorso, 18 novembre, al Seminario Romano, sono state presentate alcune tra le realtà più difficili che si trovano a vivere bambini e ragazzi nel mondo.

Come a Sucumbius, in Equador, dove il 68% dei bambini è vittima di abusi sessuali, il 19% tra i 12 e i 17 anni non frequenta la scuola. Manca, inoltre, il sistema sanitario e le malattie cutanee sono diffusissime. Nell’Amazzonia peruviana, invece, il 41% della popolazione mangia un giorno sì e uno no. Mentre, in Burundi, vi sono etnie emarginate che non hanno la possibilità di studiare. «Con alcuni sussidi cerchiamo di garantire a tutti l’istruzione. Ci troviamo a far fronte anche al fenomeno dei bambini stregoni, alcuni dei quali vengono uccisi solo per superstizione», ha raccontato suor Roberta Tremarelli, segretario generale della Pontificia opera per l’infanzia missionaria, che ha presentato storie e dati. «In questi contesti – ha aggiunto – l’evangelizzazione è una sfida, perché non vi sono i mezzi necessari e sono tante le difficoltà a raggiungere diverse zone».

Spesso i protagonisti di interventi di aiuto sono altri bambini che vivono condizioni di povertà. Come nel caso del Centrafrica, dove alcuni di loro hanno raccolto fondi per i bisogni dei coetanei che hanno visto distrutte le loro case dal sisma nel Centro-Italia. Oppure come i bambini della Cambogia che hanno rinunciato a un piatto di riso per raccogliere soldi da inviare ai più piccoli oppressi dalla guerra in Siria. «I bambini, contribuendo al fondo universale di solidarietà, in varie parti del mondo vengono educati alla missionarietà dal Poim – ha spiegato suor Tremarelli -. Nessuno è così povero da non poter aiutare qualcun altro. A volte la fame non è solo di cibo e la sete di acqua, ma di conoscenza, spiritualità e affetto». Altre volte è proprio un piatto di riso a costringere bambini e ragazzini a usare le armi.

«Nel nord Uganda ne ho incontrato un gruppo che combatte sotto effetto di ipnosi collettive o di sostanze stupefacenti. Diventano veri e propri autonomi», ha raccontato padre Giulio Albanese, missionario comboniano, che ha spiegato le ragioni del loro reclutamento. «Vengono sequestrati dai villaggi e i loro genitori vengono uccisi. Gli adulti non vogliono combattere e mandano in guerra i bambini, perché costano poco, il prezzo di un piatto di riso. Inoltre, possono essere manipolati facilmente. Per questo motivo, sono vittime e carnefici».

«Abbiamo voluto avvicinare i cammini
di Migrantes e Missio perché questi due temi sono strettamente legati. La missio ad gentes e ad intra sono due facce della stessa medaglia, non solo perché un maggior numero di migranti arriva rispetto al passato, ma perché rispondono a una logica comune», ha spiegato l’ausiliare per il Settore Sud e incaricato del Centro per la cooperazione missionaria, monsignor Paolo Lojudice, che ha invitato tutti a non dire «poveri bambini» ma a «fare ciascuno qualcosa per loro».

 

20 novembre 2017