“L’incerta fede” dell’Italia raccontata da Cipriani

La ricerca del sociologo, 25 anni dopo la prima. Crescono dubbi e nuovi orizzonti spirituali. Lo scrittore Affinati: «Il declino della fede ha bisogno di adulti credibili»

Nello scenario variegato di oggi la cifra della secolarizzazione prosegue la sua diffusione, senza per questo diventare un unicum, e continuano a persistere forme di credenze, oltre che una fede che si colloca tra certezze, dubbi e nuovi orizzonti spirituali. È quanto emerge dal volume “L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia”, del sociologo Roberto Cipriani, docente emerito all’Università Roma Tre. Dopo 25 anni da una analoga ricerca sulla religiosità nel nostro Paese, questa nuova indagine, interamente finanziata dalla Cei e realizzata nel 2017, si è svolta non solo attraverso questionari somministrati a un campione rappresentativo della popolazione, composto da 3.238 intervistati – di cui dà conto in particolare Franco Garelli nella pubblicazione “Gente di poca fede” – ma anche tramite colloqui del tutto liberi o semiguidati con 164 soggetti, opportunatamente selezionati sul territorio italiano. In particolare, i temi-stimolo proposti hanno riguardato la vita quotidiana e festiva; la felicità e il dolore; la vita e la morte; Dio, la preghiera, le istituzioni religiose e Papa Francesco. Dicotomie che rivelano quanto la relazione con la dimensione religiosa sia condizionata dalla famiglia e dai contesti in cui si vive e ci si forma.

A fronte di una diminuzione costante della pratica religiosa – passata dal 31,1% del 1994 per la frequenza settimanale al 22% del 2017 -, si registra, come spiega Cipriani, «l’emergere evidente della spiritualità che a poco a poco subentra alle forme tradizionali di religiosità». Una spiritualità caratterizzata da un sentimento interiore, che si manifesta soprattutto nell’interesse al volontariato e a nuove esperienze di preghiera. Si continua, inoltre, ad attribuire un certo peso alla religione e alla credenza in Dio, differenziata però da quella relativa alle istituzioni religiose: nell’indagine qualitativa, infatti, circa la metà degli intervistati crede decisamente nella sua esistenza, meno di un quinto non crede per nulla, mentre tutto il resto si muove fra varie alternative. Ancora, la felicità emerge come sentimento diffuso, ma anche il tema della sofferenza è piuttosto frequente. Per quanto riguarda invece la morte, «oltre la metà degli intervistati ritiene che la religione aiuti a mantenere una certa tranquillità nei suoi confronti».

Altro indicatore interessante è la preghiera, praticata da due terzi degli intervistati, più orientati a questa che alla partecipazione alla Messe. Per quanto riguarda, invece, il rapporto con l’istituzione religiosa, circa un terzo aderisce a una confessione mentre oltre il 50% esprime perplessità o è religioso a modo proprio. Infine, vi è la figura di Francesco, definito da un’intervistata quale “papa da aperitivo” ma da altri considerato scomodo e poco gradito ad una certa parte della gerarchia ecclesiastica per il suo tentativo di voler riformare la Chiesa; prevale tuttavia il giudizio positivo sul Pontefice.

Quali dunque le prospettive consegnate dalla ricerca? Certamente l’area dell’incerta fede si amplierà; la pratica religiosa subirà un decremento; la credenza in Dio assumerà forme nuove; si svilupperà una spiritualità autodeterminata e la tendenza a concepire la Chiesa come religione continuerà. «Per leggere questa indagine bisogna abbandonare i panni della vecchia apologetica – ha detto il vescovo Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, durante la conferenza di presentazione di questa mattina, 26 ottobre, all’Università Roma Tre, moderata da Ignazio Ingrao e Luca Caruso -. L’alternativa non è tra i tradizionalisti e progressisti: il Papa vuole aiutarci a mettere il seme del Vangelo nella realtà che si presenta davanti a noi». Dello stesso parere anche l’autrice e conduttrice Monica Mondo, la quale ha sottolineato quanto la fede incerta sia un problema comunitario in cui rischia di insinuarsi il potere: «Non basta ridurre la fede alla religiosità, che apre a un vago relativismo e sentimentalismo. Un conto è la spiritualità, un conto è il riconoscimento di un evento». Non si può dunque, ha concluso, «andare incontro all’uomo e ai suoi bisogni se non si va incontro a Dio».

Sulle radici di questa “eclissi del sacro” si è soffermato lo scrittore e giornalista Corrado Augias, il quale ha evidenziato come «la civiltà della rete, la nuova economia, il declino delle ideologie hanno intaccato una antica religiosità che già si era infiacchita lungo la strada. La religiosità o appartiene a gruppi ristretti e motivati o non appartiene». Dell’«interruzione di comunicazione» tra la Chiesa e il mondo giovanile ha invece parlato lo scrittore ed educatore Eraldo Affinati: «Il declino della fede ha bisogno di adulti credibili in grado di testimoniare con la loro vita i valori del cristianesimo – ha commentato -. L’istituzione è necessaria, poi però è fondamentale mettersi in gioco ed entrare in quella zona di rischio di cui parla Papa Francesco».

26 ottobre 2021