L’impegno etico delle imprese, qualcosa sta cambiando
Non contano solo i profitti. Verso nuove scelte nella direzione di un’economia più riconciliata con il creato e con le persone
Qualcosa deve essere cambiato nel mondo delle grandi imprese americane, se si è passati dalle dichiarazioni condivise sul fatto che l’unica responsabilità sociale di un’impresa è aumentare i propri profitti (frase di Milton Friedman) ad un impegno etico firmato da un’associazione che raduna intorno a sé oltre 200 Ceo delle più grandi aziende. La Business Roundtable, infatti, rappresenta aziende che nel complesso impiegano più di 15 milioni di persone e generano 7 trilioni di dollari annui. Tra le aziende, Amazon, American Airlines, Comcast, General Motors, Xerox.
Questa associazione ha rilasciato una dichiarazione che, ribadendo l’importanza di un libero mercato per lo sviluppo delle persone, della loro creatività e della loro dignità, fa propri alcuni obiettivi per gli anni a venire. Tra gli altri, quello di investire nei propri lavoratori – offrendo possibilità di formazione in un mondo in rapido cambiamento – di rapportarsi in modo giusto ed etico con i propri fornitori, di supportare le comunità e i territori in cui operano, rispettando le persone e proteggendo l’ambiente.
La dichiarazione ha fatto subito notizia, e ne sono state date tante interpretazioni diverse. Si va dall’entusiasmo incondizionato al cinismo più crudo. Una risposta ai populismi, sostiene qualcuno, un messaggio alla politica che non fa il proprio dovere, un tentativo riuscito di farsi pubblicità, una dichiarazione di intenti priva di contenuti, e dunque una fake news, secondo altri.
Personalmente ritengo che le imprese, se vogliono sopravvivere, devono capire dove va il mercato, anticipare le tendenze e contribuire a rafforzarle con la propria offerta. Oggi, grazie ad un grande movimento nato dal basso, le preferenze dei consumatori si stanno spostando verso consumi sostenibili, rispettosi dell’ambiente, della dignità delle persone e dei lavoratori. Le imprese che non lo comprendono rimarranno fuori mercato.
Chi sta spingendo in maniera decisiva per un’acquisizione di consapevolezza nei propri consumi sono i giovani, decisi nelle proprie scelte. Da una parte, quindi c’è una spinta dal basso e dal lato della domanda. Dall’altra, alcune imprese pioniere che hanno iniziato a lavorare in modo rispettoso di ambiente, persone e relazioni. Queste imprese hanno iniziato ad avere successo, offrendo prodotti che hanno incontrato il favore di chi si stava già orientando nelle proprie scelte di consumo.
Tutto ciò ha generato una imitazione da parte delle altre imprese che hanno individuato possibilità di guadagni. Questo processo è diventato inarrestabile. Come economista mi dico: non mi interessano le motivazioni sottostanti, basta guardare le scelte, e queste indicano una direzione per un’economia più riconciliata con il creato e con le persone. Ed è già tanto. Ma osservo quanto questo processo sia stato favorito e innescato da chi lo ha fatto senza guardare al proprio tornaconto tra gli imprenditori, e a un genuino amore per il creato da parte di tanti giovani. Di fronte a tutto ciò mi sento grata, e ritengo che i semi della formazione e dell’educazione vadano sparsi in abbondanza, anche quando sembra tutto inutile. (da Roma Sette del 15 settembre 2019)
30 settembre 2019