“L’imitazione di Cristo” riletta dalla sensibilità ignaziana di Surin

Il breviario ascetico del gesuita francese ripropone, qui e oggi, il messaggio evangelico nella sua potenza rivoluzionaria. Mettendo in guardia dalla “mondanità spirituale”

Fra i grandi libri della cultura occidentale spicca L’imitazione di Cristo di autore anonimo medioevale: una fonte perenne non solo per i credenti ma anche per chi, come Voltaire, intravedeva in queste pagine scarne e incisive una strategia di sopravvivenza dentro la foresta spinosa della vita sociale. Al famoso classico religioso, preferito da tante generazioni di fedeli devoti, Jean-Joseph Surin (1600 – 1665), padre gesuita francese, celebre quale esorcista nel convento di Loudun, dedicò un volume importante che viene ora reso accessibile al vasto pubblico: I fondamenti della vita spirituale (Jaca Book, con un saggio davvero prezioso di Giovanni Colombo, pp. 316, 36 euro).

Si tratta di un breviario ascetico di notevole fascino, anche stilistico, teso a riproporre, qui ed ora, il messaggio evangelico nella sua potenza rivoluzionaria: non vivere a casaccio ma secondo un programma cui affidarsi senza timore. Surin affronta i punti nodali del testo attraverso citazioni che vengono sviscerate una per una. Il cammino da percorrere chiama il pellegrino a una serie di rinunce le quali, invece di mortificarlo, vorrebbero metterlo in salvo rispetto alle insidie del rancore, dell’invidia e della sopraffazione.

Potremmo spuntarle secondo un mansionario di questo tipo: sottrarsi al semplice amore di sé seguendo il quale arriveremmo sempre di fronte a un vicolo cieco; conquistare la vera libertà interiore per apprezzare piuttosto i limiti imposti dal lavoro; rifiutare l’ambizione terrena che potrebbe essere paragonata all’acqua di mare: più ne bevi, più cresce la sete; ammettere le proprie colpe, non per un atto di mera contrizione, bensì come misura della nostra insufficienza; scegliere l’ultima fila, sapendo che la luce della prima può abbagliare chiunque; non disdegnare i patimenti, se non altro perché ci fanno apprezzare la sanità; rifuggire dai sofismi intellettuali: un conto è l’uomo illuminato, un altro quello erudito; non affidarsi al giudizio umano, pur rispettando il verdetto giuridico; evitare il profitto, uscendo dalla logica retribuitiva; non riporre eccessiva fiducia in se stessi, altrimenti siamo destinati al fallimento; gustare la semplicità quale costume di scena; preferire la gratuità, senza pensare ai risultati; non lasciarsi guidare dal desiderio, pena l’insoddisfazione; non dar peso alle parole che volano e subito passano; puntare sulla contemplazione anche nella vita quotidiana insieme agli altri; non fidarsi della propria autonomia rimettendosi al volere di Dio.

Con speciale sensibilità ignaziana Surin ci spinge a staccare la spina dai carichi del mondo senza credere di poterli evitare, anzi assumendone per intero il peso ingombrante e fastidioso. Tuttavia sembra molto attento a non scivolare in un altro rischio in agguato: quello di chi, pervaso dalla solerzia esecutiva e sostenuto da una strenua convinzione, cercasse di realizzare un perfezionamento individuale, prefigurando quindi una sorta di manifesto della vita interiore. Se fosse così, sarebbe difficile scampare alla severa diagnosi che il padre benedettino Anscer Vonier riservava a chiunque pensasse se stesso come un eletto, superiore alla maggioranza del popolo. Tali figure sarebbero incapaci a suo dire di sfuggire alla “mondanità spirituale”. Una delle peggiori tentazioni secondo Papa Francesco che anche la Chiesa di oggi dovrebbe in ogni modo evitare.

9 aprile 2018