Libia, l’appello dal centro di detenzione di Zawiya

A rilanciarlo don Zerai: «Viviamo nella paura, malati e senza vie di fuga in caso di attacco». La richiesta «urgente» di un controllo medico. I casi di depressione

650 donne e uomini – tra cui 400 eritrei ed etiopi – sono rinchiusi al momento nel centro di detenzione di Zawiya, in Libia. Ed è proprio da qui che arriva l’appello urgente rilanciato da don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia. «Viviamo costantemente nella paura, sentiamo continuamente spari nelle vicinanze, siamo chiusi qui, senza protezione, senza vie di fuga in caso di attacco, rischiamo la vita. Si può dire che viviamo in un porcile – è il racconto dall’interno del campo -. Sono mesi che non riceviamo nulla per l’igiene personale, siamo costretti a bere acqua salata di cui non sappiamo la provenienza, i problemi di salute sono all’ordine del giorno».

Raccontano che nel centro ci sono una quarantina di persone ammalate di tubercolosi senza nessuna assistenza, tra cui tre «in condizione gravissime, senza che nessuno se ne prenda cura, con il rischio di trasmettere a tutti noi la malattia». Proprio per questo «abbiamo bisogno urgente di un controllo medico», affermano, ricordando che i rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite sono entrati nel centro alcuni giorni fa ma «si sono limitati a prelevare le impronte digitali di 34 persone, ignorando le persone malate da tempo, cosi come quelle in attesa di reinsediamento dal febbraio del 2018, che prima erano nel lager di Bin Qisher».

Molti sono caduti in depressione, altri tentano la fuga per prendere la via del mare. «Abbiamo 7 casi di tentato suicidio tra coloro che sono qui da un anno e più – prosegue il racconto -, costretti a spostarsi da un lager all’altro, senza vedere uno spiraglio per il loro futuro. Poche settimane fa una donna nigeriana, malata senza cure, è morta qui. Anche una bambina di 3 anni ha perso la vita dopo una caduta. Viviamo in pericolo costante, in condizioni degradanti per la nostra dignità umana».

Rilanciando l’appello dei detenuti, don Zerai chiede a tutte le istituzioni europee e alle agenzie per i diritti umani di mobilitarsi per mettere in atto un piano straordinario per la salvaguardia di queste persone.

5 novembre 2019