Libia, bombe su centro detenzione migranti. Oltre 40 i morti

Il premier al Serraj accusa il generale Haftar. Il ministro italiano Moavero: «Protezione per i civili». Ripamonti (Centro Astalli): «Non è un Paese sicuro»

«Volevamo la prova che la Libia non fosse un porto sicuro, ora l’abbiamo; una prova pagata a prezzo di decine di vite umane in un centro di detenzione che non doveva essere lì, nel quale non dovevano esserci migranti, ma anche questa tragedia non servirà a smuoverci dalla nostra colpevole indifferenza». Il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti commenta così la notizia del bombardamento aereo che nella notte tra il 2 e il 3 luglio ha colpito a Tajoura, periferia a est di Tripoli, un centro di detenzione per migranti adiacente alla base militare di Dhaman. Il bilancio: oltre 40 morti e circa 80 feriti, tra cui donne e bambini.

L’attacco è stato immediatamente attribuito al generale Khalifa Haftar che invece, negando ogni responsabilità, a sua volta punta il dito contro le milizie del presidente Fayez al Serraj. È indubbio comunque che la base di Dhaman è uno dei depositi in cui le milizie di Misurata e quelle fedeli al governo di al Serraj hanno concentrato le loro riserve di munizioni e di veicoli utilizzati per la difesa di Tripoli, sotto attacco dal 4 aprile scorso da parte delle milizie del generale della Cirenaica.

Stando alle dichiarazioni dei portavoce dei servizi di soccorso del governo di Tripoli, «nell’hangar in cui alloggiavano c’erano almeno 200 migranti». Nella notte le ambulanze hanno fatto la spola con gli ospedali per trasportare i feriti ma si sono dovute occupare anche dello sgombro dei cadaveri, in una situazione di caos assoluto. Il ministro italiano degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Enzo Moavero Milanesi parla di «una ulteriore tragedia» che «mostra l’atroce impatto della guerra sulla popolazione civile». La «netta condanna dei bombardamenti indiscriminati di aree civili» si accompagna, nelle parole di Moavero Milanesi, all’appello a «fermare un aggravarsi delle ostilità che mette continuamente in gravissimo pericolo vite umane e distrugge infrastrutture essenziali per la popolazione». Per il ministro, «occorre garantire, immediatamente, misure di seria protezione per i civili e, in particolare, trasferire i migranti che si trovano nelle strutture di raccolta in luoghi al sicuro dai combattimenti e sotto la tutela delle Nazioni Unite».

Anche il Centro Astalli affida a una nota il «profondo dolore» nell’apprendere la notizia del bombardamento, il cui bilancio delle vittime  – «per lo più migranti sub sahariani» – pare destinato a salire. «Orrore si aggiunge alla tragedia quotidiana che le persone, già provate dalla fuga dai loro Paesi di origine a causa di guerre, persecuzioni, violenza generalizzata, sono costrette a vivere nei centri di detenzione dove vengono sottoposte a torture di ogni genere – si legge nel testo -. La Libia non è un Paese sicuro: è un Paese dove da tempo si combatte una guerra civile, dove manca stabilità politica e militare e dove vengono perpetrate sistematiche violazioni dei diritti umani soprattutto a danno dei migranti». Accanto alle vittime del conflitto che si sta consumando in Libia, sottolinea il presidente padre Ripamonti, «dobbiamo contare anche quelle di questa notte. Concediamoci un tempo per piangerle, forse siamo ancora in tempo per tornare indietro dalle nostre ottuse ed egoistiche logiche da fortezza Europa».

3 luglio 2019