Libia, al vaglio la missione “Sophia” nel Mediterraneo

L’Ue prepara una proposta per la salvaguardia del cessate il fuoco. L’esperta Michela Mercuri: «A Berlino non si poteva ottenere di più»

Conclusa la Conferenza di Berlino, è attesa dall’Alto rappresentante Ue Josep Borrell una proposta per una missione europea di salvaguardia del cessate il fuoco in Libia, sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’occasione sarà il prossimo Consiglio Affari esteri in programma nel mese di febbraio. Sul tavolo, tra le opzioni, anche il rilancio della missione Sophia, creata nel 2015 per contrastare il traffico di esseri umani nel Mediterrano, da “riconvertire” per monitorare l’embargo delle armi. Il nuovo mandato di Sophia, ha spiegato Borrell, non escluderà comunque la possibilità di salvare i migranti nel Mediterraneo.

Del piano molto ampio messo a punto a Berlino il 19 gennaio dalle 18 delegazioni presenti l’Agenzia Sir ha parlato con Michela Mercuri, analista e docente di Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano e di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata. «Nella capitale tedesca – il parere di Mercuri – abbiamo offerto un quadro istituzionale a un accordo di marca turca e russa. Saranno Putin e Erdogan a mettere in pratica le linee di Berlino dove Italia e Ue non hanno avuto un ruolo rilevante». Almeno «in linea teorica», aggiunge, «è stato raggiunto il massimo». Tra i punti concordati, il cessate il fuoco permanente, l’embargo sulla vendita di armi, nessuna ingerenza o sostegno militare da parte di Paesi stranieri, l’avvio di un tavolo politico e di un comitato militare.

Nessun incontro a Berlino tra i due contendenti, il generale Khalifa Haftar e il premier del governo di unità nazionale (Gna) sponsorizzato dall’Onu Fayez al-Sarraj, entrambi presenti alla Conferenza, che «non hanno approvato il documento finale ma hanno in linea pratica accettato la creazione di un comitato militare per monitorare il cessate il fuoco e creare delle linee di demarcazione su cui realizzare la tregua. I due contendenti riusciranno a farlo?», domanda l’esperta. Il punto infatti è «capire quanto di ciò che è stato convenuto sarà applicabile concretamente alla realtà attuale della Libia», afferma.

Ancora, Mercuri parla di un accordo, quello siglato a Berlino, targato essenzialmente Russia e Turchia, nel quale «Italia e Ue non hanno avuto un ruolo rilevante». E anche l’Onu – «molto spaccata al suo interno» – ha recitato «un ruolo marginale».  La docente di geopolitica del Medio Oriente intravede invece la possibilità di giocare una parte importante, per l’Italia, «laddove si dovesse pensare di realizzare un nuovo governo di accordo nazionale e avviare un processo di pace, forte di una tregua stabile», in virtù delle conoscenze sul terreno che il nostro Paese ha sia delle milizie che dei gruppi armati.

Circa la disponibilità espressa dal premier Giuseppe a partecipare a una forza di interposizione e di pace europea in Libia, Mercuri dichiara che «potrebbe essere una soluzione se fosse fatta con l’accordo di tutti» e approvata sia da al-Sarraj che da Haftar. Questo contingente, ancora, «dovrà essere sotto l’egida delle Nazioni Unite». L’esperta ricorda comunque le «miriadi di fazioni» in Libia che non si riconoscono in Haftar e al-Sarraj: «Penso a tribù, jihadisti e cellule Isis arroccate nel sud del Paese che potrebbero creare non pochi problemi a questa potenziale forza di interposizione, causando anche delle vittime che l’opinione pubblica non tollererebbe».

Da ultimo, l’analista mette in guardia sul pericolo del blocco da parte delle milizie del generale Haftar della produzione di petrolio nei campi di Sud-Ovest di El Sharara ed El Feel e della chiusura di un oleodotto collegato a pozzi gestiti da società in joint venture con l’Eni. «Non riaprirà gli oleodotti – avverte – fintanto che non si arriverà alla contrattazione delle linee di demarcazione del cessate il fuoco. Li userà fino alla fine come arma di ricatto». A riguardo, informa, potrebbe uscire una dichiarazione Usa condivisa anche con altri Paesi di condanna dell’azione di Haftar. «Fonti accreditate libiche affermano che perdiamo 90 milioni di euro al giorno in termini di petrolio e che siamo rimasti a 70 mila barili contro il 1,5 milione di qualche giorno fa. Si tratta di un gravissimo danno per l’economia libica e per quella italiana».

21 gennaio 2020