“Liberi di partire, liberi di restare”, la chiusura della campagna Cei

Il cardinale Bassetti: «Ius culturare ai ragazzi che vivono in Italia e hanno assimilato la nostra cultura». L’iniziativa, «occasione preziosa per la società»

Conclusa ieri, 14 ottobre, a Roma, con la celebrazione presieduta dal cardinale Bassetti, la campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare“. «Sono molto contento del movimento che sta andando verso lo ius culturae perché quando un ragazzo ha assimilato la nostra cultura perché non deve essere uno dei nostri?», si è chiesto il presidente dei vescovi italiani. Certo, ha ammesso, «non è facile tirarsi dietro tutti in questa mentalità evangelica ma è uno degli sforzi grandi che dobbiamo fare anche in tempo di Covid».

Nelle parole del porporato, la campagna è stata «un’occasione preziosa non solo per la nostra Chiesa ma per tutta la società, che ha profondamente bisogno di agire concretamente e con giustizia e di avere informazioni corrette, riconoscendo non solo la complessità dei problemi riguardanti le migrazioni ma anche ricordando a tutti che i migranti sono un valore e un tesoro per le città e i Paesi». Quindi, ha ricordato i tre anni di cammino nei quali l’iniziativa della Chiesa cattolica «ha visto protagonisti i migranti e, insieme a loro, operatori, volontari, religiosi, religiose, sacerdoti e laici, in Italia e all’estero», attraverso tanti progetti avviati nei Paesi di partenza dei flussi migratori, di transito e di arrivo. «Un lungo cammino di condivisione di storie e di iniziative che hanno cercato di gettare uno sguardo e porgere l’aiuto possibile sul vasto fenomeno delle migrazioni, che interessa da sempre il bacino del Mediterraneo ma che ormai è divenuto un fenomeno planetario, con milioni di persone in tutto il mondo che sono alla ricerca di una vita migliore».

Inevitabile il riferimento all’enciclica “Fratelli tutti”, nella quale Francesco scrive che «l’aggressività sociale trova nei dispositivi mobili e nei computer uno spazio di diffusione senza uguali». Nell’analisi di Bassetti, il Papa fa riferimento all’aggressività che viene dal «difendere il proprio isolamento consumistico e comodo», che favorisce appunto «il pullulare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro». Tra le opere di giustizia sulle quali verremo giudicati invece, ha sottolineato il presidente della Cei, «c’è anche quella dell’accoglienza nei confronti degli stranieri».

Presente all’evento conclusivo della campagna anche il segretario generale della Cei Stefano Russo, che ha rimarcato l’esigenza di «favorire l’incontro reale» e offrire «strumenti per l’integrazione», non solo tetto e cibo, pena: consegnare i migranti «all’emarginazione, alla ghettizzazione e alla criminalità organizzata». La campagna, ha sottolineato, è stata «il segno eloquente di un’attenzione non sporadica al fenomeno migratorio, di un impegno globale e continuo che è testimonianza di una Chiesa in uscita». Al centro, quei quattro verbi indicati dal Papa nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Verbi che costituiscono «la magna charta di ogni politica migratoria che voglia essere efficace ma anche dell’atteggiamento di chiunque si dica cristiano».

Citando, ancora, le parole di Francesco nella “Fratelli tutti”, monsignor Russo ha sottolineato che l’ideale sarebbe «evitare le migrazioni non necessarie». La strada da percorrere, in questo senso, è «creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità». Ma – ancora le parole del Papa – «finché non ci sono seri progressi in questa direzione, è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona». Per il segretario generale Cei, «solo riconoscendoci fratelli potremo guardare l’altro non come un’insidia, un problema, un usurpatore, ma come persona degna di essere amata, soccorsa e aiutata».

Cambiare la narrazione sui migranti era proprio uno degli obiettivi della campagna Cei, di cui Russo ha ricordato anche i numeri e le attività. Con i fondi dell’8xmille sono stati finanziati 130 progetti, per un totale di oltre 27 milioni di euro, di cui 110 in Italia (pari a quasi 15 milioni di euro); fra questi, 29 promossi da associazioni, istituti religiosi e cooperative e 81 dalle diocesi. Sette progetti sono stati finanziati nei Paesi di transito – Marocco, Albania, Algeria, Niger, Tunisia e Turchia – per una somma di oltre 4 milioni e 200mila euro. Tredici iniziative sono state invece avviate nei Paesi di partenza: Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Guinea, per uno stanziamento complessivo di oltre 8 milioni di euro. Complessivamente, i principali ambiti di intervento sono stati educazione e formazione (anche professionale), informazione, sanità, inserimento lavorativo e riconciliazione. Destinatari privilegiati della campagna: bambini e donne. «I progetti – ha concluso il segretario generale Cei -, sia nel nostro Paese che in diverse nazioni del mondo, hanno mobilitato risorse e forze, cercando sempre di mettere al centro i migranti e di renderli protagonisti del loro riscatto».

Contro la mancanza di risposte «forti e adeguate» al fenomeno della migrazione è intervenuto anche il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. «Sono 30 anni – ha detto – che andiamo avanti con la logica dell’emergenza pensando di trovare risposte rapide ed efficaci. La campagna invece dava una prospettiva, per lasciare le persone libere di restare e libere di partire. Rappresentava una scelta importantissima: non accontentarci di non poter far nulla. Perché quando diciamo: “Aiutiamoli a casa loro”, non si fa niente né qui né lì, tanto che i soldi per la cooperazione sono ancora diminuiti».

Molte, per Zuppi, le «occasioni perse» in questi anni, le tragedie in mare «che non hanno prodotto nulla. Di qui l’invito alla Chiesa a fare cultura, in contrapposizione con «tanti slogan che inquinano. Oggi – ha detto l’arcivescovo di Bologna – non ci si vergogna più. Dobbiamo avere ancora più coraggio nel trasmettere dei contenuti in maniera intelligente, tra una generazione che rischia la superficialità digitale e la fabbrica dell’odio che può dire tutto e il contrario di tutto. Senza cultura, visione della vita, valori condivisi, è davvero pericoloso – ha continuato -. La carità deve produrre cultura. Perché non basta la generosità. Dobbiamo andare in profondità per capire le necessità e cosa si può fare». La Chiesa, ha ricordato, «si occupa di fare l’ospedale da campo perché è Chiesa. Ma quando pensiamo di vivere nelle cliniche private non ci accorgiamo più dell’ospedale da campo».

15 ottobre 2020