Liberazione di Roma, i 60 anni del Museo storico

In Campidoglio la celebrazione dell’anniversario per la struttura di via Tasso, alla ricerca di un finanziamento fisso per evitare il rischio chiusura

In un convegno in Campidoglio la celebrazione dell’anniversario per la struttura di via Tasso, alla ricerca di un finanziamento fisso per evitare il rischio chiusura

Sono 60 le candeline per l’anniversario di fondazione del Museo storico della Liberazione di Roma, allestito nei locali della palazzina che nei mesi dell’occupazione nazista della Capitale (11 settembre 1943 – 4 giugno 1944) venne utilizzato come carcere dal Comando della Polizia di sicurezza, dalla quale dipendeva la Gestapo, e affidato all’SS Herbert Kappler. A raccontare cosa sono stati questi lunghi anni e cosa rappresenta ancora oggi il Museo, ieri, mercoledì 3 giugno, si è tenuto un convegno in Campidoglio. Presidente volontario di una istituzione sempre in affanno sul piano delle risorse economiche, Antonio Parisella ha ripercorso le vicende del museo di via Tasso nelle cui stanze si fa memoria di coloro che vi furono detenuti e torturati, certo, ma più in generale si ricordano le drammatiche vicende nazionali e romane dell’occupazione.

Proprietaria a quel tempo dell’immobile era la principessa Josepha Ruspoli in Savorgnan di Brazzà, che nel giugno 1950 donò allo Stato quattro degli appartamenti che erano stati impiegati come carcere, a patto che fossero destinati ad ospitare in via esclusiva e permanente un “Museo storico della lotta di Liberazione in Roma”. Vero artefice della sua realizzazione fu Guido Stendardo, ex membro del Comitato di liberazione nazionale di Modena per la Democrazia Cristiana: a rendergliene merito è lo stesso Parisella che ha annunciato, a breve, la dedicazione della biblioteca al suo nome. Tra mille peripezie e problemi, si è arrivati all’oggi con «l’inserimento del Museo della Liberazione in un elenco dei dieci musei ad ingresso libero più importanti in Europa, accanto al British Museum e al Prado». Una gratificazione, ha spiegato con orgoglio Parisella, «anche perché è il primo italiano e, per di più, a tema storico-politico».

Nel ripercorrere la sua vicenda di reclusa in via Tasso, e poi di deportata, Vera Michelin Salomon – al tavolo dei relatori accanto a Giuliano Amato, alla presidente della Società romana di storia patria Letizia Ermini Pani e al presidente Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia di Roma) Ernesto Nassi – ha invitato a riflettere sul dovere di non dimenticare ciò che è accaduto in quegli anni. «Il dopoguerra è stata una ricerca tesa alla rimozione, alla ricostruzione del Paese senza ritornare al ricordo delle sofferenze subite. Per fortuna qualcuno ha invece creduto nella necessità di fare memoria. Una volta c’erano i bauli dei nonni dove si pescavano vecchie lettere, oggi – ha spiegato la donna – non ci sono lettere ma nemmeno bauli». Quindi ha lanciato un appello perché ci si impegni a salvaguardare il museo, «un posto sacro, una creatura fragile». Luogo di vite interrotte in cui, «non essendoci luce e non parlandosi tra detenuti per paura di spie in ascolto», nulla dava il ritmo del tempo fuori. Ecco, «un non luogo». E tuttavia, ha denunciato Salomon, «quando ritornai in Italia, trovai una sordità totale. È allora sacro per questo il museo, perché è un filo tra generazioni ed è qui che si vedono le tracce di ciò che siamo stati».

La riconoscenza va al volontariato su cui si regge l’ente. Sì, perché le risorse scarseggiano e il Museo, che ha rischiato di essere chiuso, fatica ad andare avanti. «Le risorse pubbliche stanziate arriveranno in autunno ma fino ad allora condominio, energia, telefono ed internet, manutenzione, pulizie e amministrazione debbono essere pagati», ha spiegato Parisella. «Ogni tre anni facciamo un concorso, partecipando insieme ad altri grandi enti, per essere finanziati secondo un principio che però non è legato al bisogno. La richiesta è di poter invece accedere a un finanziamento fisso». Ed è bene «che non solo i visitatori – ha aggiunto in conclusione Vera Michelin Salomon – ma anche la cittadinanza si mobiliti attorno al museo nel momento del bisogno».

4 giugno 2015