Libano, Essayan: «Tornare a essere messaggio e modello di pace»
Il vicario latino di Beirut fa il punto sui progetti realizzati nel Paese, nel corso degli anni, attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Cei
«La popolazione è stremata. La situazione è sempre più incerta, soprattutto per i giovani. Molti di loro hanno già lasciato il Paese, altri tentano di farlo e cercano in tutti i modi di mantenersi anche per proseguire gli studi. I soldi delle famiglie sono bloccati nelle banche e non si vedono soluzioni. Almeno l’80% dei libanesi vive in condizioni difficili. Il restante 20%, chi lavora per agenzie e aziende estere e viene pagato in dollari, riesce ad andare avanti e a riempire i ristoranti dando un’immagine di un Libano che non esiste». Non usa giri di parole monsignor Cesar Essayan, vicario apostolico di Beirut della Chiesa cattolica latina in Libano, per tracciare il quadro attuale del Paese dei cedri, immerso in una profonda crisi economica, finanziaria, sociale, aggravata dalla guerra in corso, dopo il 7 ottobre 2023, sul suo confine meridionale, dove proseguono pesanti gli scambi di razzi e bombe tra esercito di Israele, che ha avviato anche operazioni terrestri, e milizie Hezbollah, filoiraniane e sostenitrici di Hamas. Le organizzazioni internazionali parlano di un milione di persone colpite dai bombardamenti israeliani nel Paese dei cedri. «In queste zone del sud – spiega Essayan – alcuni villaggi si stanno svuotando. Quanto sta avvenendo in quella area di confine non è sempre chiaro».
La linea rossa delle scuole. «Ci sono sempre più alunni e studenti che non riusciranno a entrare in classe. Esiste una circolare del ministero della Pubblica istruzione che impegna le scuole ad accettare tutti i bambini siriani che abbiano, o meno, un documento di riconoscimento. Una decisione che sta mettendo ancora di più in crisi la popolazione locale, che ha paura della naturalizzazione di due milioni di siriani». Dal canto suo la Chiesa libanese, grazie anche agli aiuti che provengono da molte Chiese, «quella italiana su tutte», sottolinea il vicario apostolico, «continua a fornire il suo sostegno alle scuole cattoliche che registrano solo il 20% di studenti libanesi. Questo è un problema perché siamo gli unici istituti scolastici a offrire un’educazione basata su valori non solo evangelici, ma anche umani, di libertà, di apertura, di convivenza e di tolleranza». Valori che sono «la risposta più forte che si possa dare alle scuole di stampo fondamentalista, che dipendono da ideologie di partito di qualunque tipo. Per questo motivo la presenza delle nostre scuole nelle periferie del sud del Paese o nella Bekaa, vicino alla frontiera siriana, è importante e va sostenuta. Le nostre scuole sono frequentate anche da persone povere che lo Stato non riesce a sostenere adeguatamente. Per la nostra Chiesa l’istruzione è una linea rossa da non oltrepassare». Problemi anche sul piano sanitario, denuncia il vicario: «I poveri, privi di assicurazione, hanno scarso accesso alle cure. I farmaci costano molto. Nemmeno il rientro di tanti libanesi in patria per passare l’estate ha portato vantaggi duraturi all’economia. Finite le vacanze sono tornati nei Paesi esteri dove vivono e lavorano».
Politica assente. E la politica non aiuta. Il Libano è senza presidente della Repubblica (carica che di norma spetta ad un cattolico maronita) dalla fine di ottobre del 2022 e l’attuale governo svolge solo atti di ordinaria amministrazione. Per promulgare il programma di riforme necessarie per ottenere i finanziamenti dal Fondo monetario internazionale serve l’avallo del presidente ma il Parlamento non si mette d’accordo. Perché? «Perché le forze in gioco sono tante così come i Paesi in campo che hanno le loro forze in Libano – risponde secco il vicario latino -. Il nostro Parlamento non rappresenta il Libano ma gli interessi di tanti Paesi esteri. Al suo interno siedono politici che sostengono l’azione di Hezbollah nel sud del Libano. Ci sono alcuni partiti cristiani che premono invece per un presidente contrario al Partito di Dio, guidato da Hassan Nasrallah (ucciso lo scorso 27 settembre da un raid israeliano su Beirut, ndr.). Gli interessi in gioco sono tanti, pensiamo anche alle banche. Ci sono state decisioni assunte anche a livello internazionale che hanno impoverito il Paese e reso la gente sempre più schiava. Il popolo non ha la forza di sollevarsi. E anche la Chiesa fa fatica». A riguardo una visita di Papa Francesco sarebbe un forte incoraggiamento per tutto il Paese dei cedri: «Alla fine di agosto – conferma Essayan – ho incontrato Papa Francesco. Il suo desiderio di visitare il Libano è sempre vivo. Papa Francesco mi ha detto che verrà non appena il Libano avrà un presidente. La politica metta da parte gli interessi particolari e pensi al bene di tutto il Libano e del suo popolo».
Liberare il Vangelo. Tuttavia, davanti al fallimento della politica, dell’economia, il Paese dei cedri deve continuare ad essere quel «messaggio e quel progetto di pace», di incontro, di convivenza che è l’essenza della sua vocazione, ribadita da più pontefici, da san Giovanni Paolo II a Papa Francesco: «Essere una terra dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari, dove religioni e confessioni differenti si incontrano in fraternità». Per farlo, dichiara il vicario latino di Beirut, «noi cristiani dobbiamo liberare il Vangelo e liberare la Chiesa dal gioco dei partiti politici cristiani. Lo stesso vale per le autorità musulmane, che devono scrollarsi di dosso le ideologie dei partiti musulmani. L’Isis non può essere espressione dell’Islam. La religione è stata presa in ostaggio dai partiti politici che dicono di parlare a nome dei cristiani . Qui non si tratta di salvare i cristiani o i musulmani, ma di salvare il Libano e la sua identità. Non possiamo più permettere ai partiti politici di parlare a nome della Chiesa, a nome della religione, perché questi cercano i loro interessi particolari e quelli dei loro capi politici. Bisogna rendersi conto che la maggioranza delle famiglie libanesi sono famiglie miste dal punto di vista ecumenico e interreligioso».
Non una minoranza ma una presenza. Da qui discende il ruolo della presenza cristiana libanese che non può essere rinchiusa nel recinto stretto di una “minoranza da proteggere”, perché, ribadisce con fermezza Essayan, «non è stata mai una questione di numero. Non siamo una minoranza ma una presenza da custodire e proteggere. È una questione di testimonianza. Questo è il motivo per cui teniamo a essere presenti dappertutto. La gente, i ragazzi, le famiglie devono poter vedere e incontrare un prete, una suora, una persona consacrata, un’istituzione della Chiesa. Non possiamo non essere presenti. I giovani impegnati nella Chiesa vanno sostenuti a tutti i costi, vanno formati e istruiti a livello teologico perché sono loro gli evangelizzatori sul terreno e soprattutto sui social media, strumenti che sanno usare molto bene. Se venisse meno la presenza cristiana nel nostro Paese sarebbe un danno anche alla nostra identità e al pluralismo del Libano. Solo riscoprendo l’identità libanese, il nostro Paese tornerà a essere un modello da proporre agli altri, una finestra aperta sulla pace e sulla convivenza per tutto il mondo arabo e per tutti i Paesi della regione». (Daniele Rocchi)
11 ottobre 2024