L’esperienza del Covid e la “lezione” della solidarietà in un libro di Acli Roma

Ambarus: «Rafforzarci prendendoci cura del prossimo». Capobianco (Sant’Eugenio): «La tuta da indossare è quella della misericordia, in ospedale come nel Mediterraneo»

Il 9 marzo 2020 alle 21 l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte in diretta televisiva e a reti unificate annunciava il lockdown. A tre anni esatti da quella data, ieri sera le Acli di Roma e provincia hanno presentato il libro “Distanti eppur così vicini. Cronache dai tempi della pandemia”. Un testo edito da Rubbettino e curato dalla presidente delle Acli di Roma Lidia Borzì, dall’antropologa Cristina Cassese, dalla psicologa Alessandra Di Stefano e dal collaboratore dell’associazione Walter Stefanini. Il volume analizza le povertà materiali, educative e relazionali accentuate dalla pandemia, attraverso la viva voce dei volontari e delle persone aiutate nel periodo di emergenza sanitaria, che hanno messo nero su bianco le loro storie dal lockdown.

Il libro, partendo dell’esperienza fatta in questi ultimi anni, vuole anche fornire gli strumenti utili per costruire un orizzonte di senso. Un futuro in cui deve prevalere il “noi” che sembrava essere stato riscoperto nei mesi più duri del Covid-19. Sembrava, appunto, perché per il vescovo ausiliare della diocesi di Roma Benoni Ambarus «avremmo potuto imparare molte cose da quella lezione ma non l’abbiamo fatto. L’umanità – ha detto – ha avuto l’opportunità di gettare la maschera. Ci ha alimentato la nostalgia di una umanità diversa. Anche come Chiesa avremmo potuto spendere una parola in più sul senso del vivere e sulla morte ma anche noi abbiamo perso l’occasione». Per il presule, se oggi ci fermiamo a fare memoria di quei mesi in cui tante associazioni hanno lavorato gomito a gomito, «realizzando cose bellissime», potremo «rafforzare quanto abbiamo imparato prendendoci cura del prossimo».

La serata, moderata dalla giornalista del Tgr Lazio Rossella Santilli, è stata ospitata nell’Auditorium della Fondazione Enpam la quale, prima della presentazione del testo, ha offerto agli ospiti la visita guidata nell’area archeologica del Museo Ninfeo che racchiude una sontuosa residenza privata risalente al I secolo avanti Cristo, riemersa durante i lavori di ricostruzione della sede dell’Enpam. Parlando proprio della bellezza del luogo, Borzì si è soffermata sulla «bellezza nascosta, scoperta nel periodo pandemico», quella delle tante mani tese verso chi aveva bisogno di aiuto. «Accanto al mondo della sanità – ha detto -, quello del sociale ha dato un grande aiuto. Il cuore di tutto è stata la solidarietà. Il nostro impegno continua e si basa su quattro azioni: ascoltare i bisogni, interpretarli, rispondere e far sognare. Dobbiamo essere costruttori di speranza». Opera compiuta quotidianamente da migliaia di volontari come Alessandra Cametti, delle Acli, per la quale chi «fa volontariato riceve molto più di quanto dà», o Giulia Di Gregorio, responsabile Welfare della Acli, che «in quei mesi di tragedia, dolore e perdite» ha compreso che «non si poteva stare fermi a guardare».

Per il presidente della fondazione Enpam Alberto Oliveti, la pandemia è stata «qualcosa di sconquassante. Come medici non eravamo particolarmente preparati, sulla programmazione degli stati pandemici non eravamo avanzati», ha rimarcato riallacciandosi alla cronaca di questi giorni. Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di Commercio di Roma, ha specificato che «la salvezza di moltissime imprese» è da imputare alle istituzioni, «in primis a quella sanitaria, che nel Lazio ha funzionato meglio che altrove, e agli aiuti statali». Il sistema ha quindi reagito, tanto che, per Tagliavanti, «se prima della pandemia Roma vivacchiava, con la ripartenza la Capitale ha avuto tra le migliori performance in Italia e gli occupati che ci sono oggi non si sono mai registrati nella storia».

Sulla solidarietà, che in quel periodo si è diffusa quasi più del virus, si è soffermato Giovanni Impagliazzo dello staff dell’assessore comunale alle Politiche sociali Barbara Funari. «Roma ha grandissime risorse umane le quali, se gli viene data la possibilità, sanno fare cose bellissime». Le lunghe giornate in corsia tra i pazienti intubati sono state ricordate da Giovanni Capobianco,  direttore di geriatria dell’ospedale Sant’Eugenio. Momenti che rimarranno scolpiti nella memoria e che i medici, per mesi imbracati in tute protettive, hanno saputo superare «stringendosi l’uno con l’altro. Solo così non ci siamo mai sentiti soli». Oggi, però, «possiamo indossare qualsiasi tuta – ha detto il primario – ma la più importante è quella della misericordia da portare sia nella corsia di un ospedale che sulla riva del mare Mediterraneo».

10 marzo 2023