L’eredità di Sturzo: un’affermazione fortissima del bene comune

A 100 anni dall'Appello ai liberi e forti che segnò la nascita del Partito Popolare, lo storico Giovagnoli ricostruisce il portato di quell'esperienza. «Fu il "prodotto" di una comunità»

Un partito ispirato ai principi cattolici ma non confessionale perché, come don Luigi Sturzo disse al primo congresso di Bologna, «non abbiamo il diritto di parlare a nome della Chiesa». Un partito laico eppure con una visione morale della politica. Esattamente 100 anni fa, il 18 gennaio 1919, il sacerdote di Caltagirone fondava il Partito Popolare con la redazione del celebre “Appello ai liberi e forti”. Appunto, non ai cattolici, sebbene fosse diretto principalmente a loro, ma a tutti coloro che avevano a cuore un progetto comune che mettesse al centro prima di tutto la persona e la famiglia.
Sono numerose le iniziative per ricordare l’anniversario, la svolta che ne seguì per la vita politica italiana e analizzarne l’eredità. Ne parliamo con Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Cattolica.

L’Appello era frutto di una concezione alta della politica e di una visione precisa dello Stato. Oggi al contrario c’è uno scollamento con la politica, una crisi prima di tutto di partecipazione. Che ne pensa?
Sicuramente fu il frutto di una fortissima tensione morale però non dobbiamo dimenticare che venne lanciato in un momento di grande crisi dell’Italia, sconvolta dalle conseguenze della prima guerra mondiale, in un clima confuso, conflittuale, di violenza. L’Appello fu importante perché seppe andare controcorrente. Per questo ritengo che sia un esempio che vale la pena seguire anche oggi.

Quel manifesto è una pietra miliare per l’impegno dei cattolici in politica che però con la fine della Democrazia cristiana sono diventati sempre più marginali fino praticamente a scomparire. Come se ne rilancia il ruolo?
Sturzo ha in qualche modo ereditato un lavoro precedente del movimento cattolico intorno a sensibilità comuni. Penso che oggi sia necessario fare lo stesso: occorre ricostruire una sensibilità intorno a temi come la difesa dell’uomo e della vita o l’accoglienza dei migranti, valori in cui i cattolici si riconoscono, anche se a volte non in modo unitario.

L’impressione è che manchi una formazione politica, a volte anche semplicemente civica. Come si rimedia?
Non credo all’utilità delle scuole, la politica si impara facendola. Sturzo era, lui sì, un grande politico, di intelligenza lucida e di grande esperienza amministrativa, ma la gran parte dei cattolici all’epoca era digiuna di politica. Quella esperienza per i popolari fu decisiva: buttati in campo, seppero dimostrare in poco tempo le loro capacità.

Però almeno avevano una solida base dottrinale.
Quello sì, senza dubbio e bisognerebbe recuperare questo aspetto.

E dunque quale può essere la soluzione?
Penso che i cattolici debbano ritrovare il coraggio di discutere tra loro. Sono anni, ormai, che nelle parrocchie non si parla più di politica: chi è di centrodestra, chi di centrosinistra e per evitare le divisioni si preferisce evitare il dibattito. Comprendo l’aspirazione all’unità da parte dei parroci, però bisogna superare questo tabù e impegnarsi a parlare per trovare posizioni comuni sui valori di fondo condivisi.

La Dottrina sociale della Chiesa è la fonte ispiratrice dell’Appello. In che modo quei princìpi possono contribuire ad arginare le derive nazionalistiche e populiste sempre più dilaganti?
Sono convinto che siano ancora efficaci. Abbiamo sentito e letto in questi giorni le parole di vescovi su questioni concrete, penso all’Ires che toccava una concezione precisa della società, all’importanza dei corpi intermedi, alla sensibilità sui rifugiati. La Dottrina sociale della Chiesa ha una validità attuale, lo dimostrano i fatti.

L’Appello 100 anni fa era all’avanguardia, aveva contenuti quasi rivoluzionari su temi come il voto alle donne, i sindacati, il decentramento amministrativo. In che misura è ancora attuale?
L’eredità di Sturzo è prima di tutto nell’obiettivo: un’affermazione fortissima del bene comune. Un altro elemento estremamente attuale è poi il metodo democratico. Il Partito Popolare puntava sull’inclusione. Democrazia significa inclusione, non divisione, tutto il contrario di quanto accade oggi quando vediamo che l’odio è diventato uno degli aspetti fondamentali di certa politica. Bisogna alimentare una fiducia nello strumento politico per perseguire il bene comune, contrapposta all’odio che spesso serve solo a raccogliere consensi.

Quanto bisogno c’è oggi di un nuovo Sturzo? E vede qualcuno che ne possa raccogliere l’eredità?
Vedo tante persone di buona volontà che possono dare molto. Però insisto: Sturzo era il risultato di 60 anni di preparazione, il “prodotto” di una comunità. Bisogna che i cattolici ricomincino a discutere, solo così potranno venire fuori moderni Sturzo.

18 gennaio 2019