L’eredità di padre Arrupe: «Saper discernere i segni dei tempi»

Aperta l'inchiesta diocesana per la causa di beatificazione. De Donatis: «Vero uomo di Dio». Il postulatore Cebollada: «Profetico» per la Chiesa e per la società. Nel 1980 ha fondato il Servizio per i rifugiati

Con la lettura e la firma dell’atto notarile nell’Aula della Conciliazione costituita per il Tribunale nel Palazzo Apostolico Lateranense è stata ufficialmente aperta l’inchiesta diocesana per la causa di beatificazione di padre Pedro Arrupe Gondra, superiore generale della Compagnia di Gesù. Il rito canonico è stato presieduto dal cardinale vicario Angelo De Donatis con la partecipazione del delegato episcopale monsignor Slawomir Oder, del promotore di giustizia monsignor Giuseppe D’Alonzo, del notaio attuario Marcello Terramani e del notaio aggiunto Francesco Allegrini. Erano presenti, tra gli altri, il postulatore padre Pascual Cebollada, l’attuale preposito generale dei gesuiti padre Arturo Sosa Abascal e l’ambasciatrice di Spagna presso la Santa Sede María del Carmen de la Peña Corcuera.

Il cardinale De Donatis insieme a padre Arturo Sosa Abascal, attuale preposito generale dei Gesuiti

«Nella vita del padre Arrupe – ha detto nel suo discorso il cardinale De Donatis – si scorge una grande coerenza tra i suoi numerosi scritti, sia personali che pubblicati, nei quali si manifestano eloquentemente la sua spiritualità e il suo atteggiamento verso le persone». Il vicario del Santo Padre ha evidenziato prima di tutto «la profondità e la grandezza spirituale della sua preghiera e della sua familiarità con Dio uno e trino. È stato aperto alla volontà del Padre, volontà che ha voluto adempiere in tutto, grazie al suo voto di perfezione. È rimasto radicato in Cristo, che ha amato appassionatamente e, con coraggiosa fiducia, si è lasciato guidare nel suo percorso dalla saggezza e dalla libertà che vengono dallo Spirito Santo».

Un’altra peculiarità di padre Arrupe evidenziata dal cardinale è stata la decisione con cui ha dato un forte impulso alla riscoperta della spiritualità ignaziana, promuovendola e diffondendola in tutto il mondo. «È stato un vero uomo di Dio e ha avuto anche una personalità ricca di qualità umane nel conoscere, trattare, ascoltare, rispettare, curare e aiutare gli altri, dando grande fiducia a ciascuno – ha sottolineato De Donatis -. Quello che lui per primo ha vissuto, e che ha inculcato particolarmente ai suoi studenti, vale per tutti: diventare “uomini e donne per gli altri”. Semplice e povero di spirito nella sua vita quotidiana, e insieme partecipe della ricchezza di Dio, ha voluto andare incontro agli “affamati di pane e di Vangelo”: per questo ha promosso un servizio della fede per tutti i bisognosi di Dio. Grazie alla sua particolare sensibilità per le situazioni sociali drammatiche e per i poveri, ha sempre incoraggiato tutti a stabilire un contatto personale e continuo con loro, e ha favorito la consapevolezza di dover promuovere tutte le attività pastorali ed educative che vanno a loro beneficio».

Il vicario ha definito padre Arrupe «un vero uomo di Chiesa, una Chiesa che, nel 1965 (anno in cui il gesuita fu eletto generale dell’ordine, ndr) concludeva il Concilio Ecumenico Vaticano II e cercava di metterlo in pratica. In questo periodo, spesso agitato, ha dimostrato in ogni momento la sua profonda appartenenza alla Chiesa e il suo fervido, umile e fermo desiderio di obbedire alla Santa Sede e al Santo Padre. Ha cercato di integrare i migliori valori della tradizione con quelli necessari a adattare la cristianità ai nuovi tempi e ha sempre voluto guidare con entusiasmo la Compagnia di Gesù secondo gli orientamenti del Vaticano II». Non a caso il successore padre Kolvenbach «parlò di lui come di un profeta del rinnovamento conciliare». Il cardinale De Donatis ha anche sottolineato l’impegno «nella difesa della fede contro l’ateismo e la miscredenza, studiando seriamente la secolarizzazione e creando spazi per il rapporto con i non credenti». Analogamente, ha proseguito, padre Arrupe «ha favorito il dialogo ecumenico e interreligioso e ha promosso ciò che viene tentato per la riconciliazione fra i popoli».

Nella foto, il postulatore padre Pascual Cebollada

«L’eredità di padre Arrupe è quella di essere stato attento e sensibile ai segni dei tempi – ha detto a Romasette.it padre Sosa a margine della cerimonia -. È stato un uomo a cui il contatto con il Signore Gesù ha fatto comprendere che bisogna avere gli occhi aperti ed essere guidati dallo Spirito, dunque il saper discernere i segni dei tempi è forse l’insegnamento più grande che ha lasciato alla Chiesa». «Penso che abbia influito molto sui rapporti all’interno della Chiesa e della vita religiosa – ha aggiunto il postulatore padre Cebollada -. Arrupe ha spinto per un rinnovamento delle relazioni basate sulla naturalezza, più spontanee, di grande fiducia, con la sicurezza che lo Spirito Santo parla attraverso l’altro e che il discernimento per trovare la volontà di Dio nel rapporto con gli altri è molto importante. Ha cambiato il modo pratico di vivere la virtù dell’obbedienza. Nei confronti della Chiesa e della società è stato in qualche modo profetico. Basti pensare che nel 1980, quando ancora la questione non era esplosa, fondò il Servizio per i rifugiati, che oggi sono al centro dei problemi del mondo. Tutti desideri – ha concluso – totalmente radicati in Cristo».

6 febbraio 2019