Leopardi e la consapevolezza di «un desiderio più grande»

Nella basilica lateranense il primo degli incontri quaresimali tenuti da Franco Nembrini, dedicati al poeta di Recanati. La “fotografia” della «vita piena dei giovani di un tempo e di oggi, nel cui intimo è conficcata la noia». Il secondo appuntamento, l’8 marzo

Sete e noia quali esperienze da vivere e sperimentare come segno di un anelito per qualcosa di più grande della vita terrena, trascorsa nella frenesia degli impegni e delle occupazioni quotidiane. Questo parallelismo tra una mancanza materiale e una esistenziale – laddove la prima è immagine e metafora della seconda – sono state oggetto ieri sera, 1° marzo, del primo incontro dell’itinerario quaresimale promosso dalla diocesi e intitolato “Ed io che sono? Letture scelte di Giacomo Leopardi”, che ha avuto luogo in una basilica di San Giovanni in Laterano gremita. «Questo quaresimale è un tempo per prendere contatto con la parte più profonda di noi e può sicuramente alimentare il nostro spirito – ha detto nel suo saluto iniziale don Fabio Rosini, direttore dell’Ufficio diocesano per le vocazioni – ed è anche l’opportunità per liberarci del peso di una banalizzazione doloristica di Leopardi».

Proprio con la raccomandazione di superare «l’etichetta di pessimismo associata a Leopardi per sfatare una certa immagine che di lui ci è stata consegnata dalla tradizione scolastica italiana» ha aperto il suo intervento Franco Nembrini, insegnante e saggista, sottolineando come «mentre sembra parlare male della vita», Leopardi trae e fa emergere «da queste considerazioni un’eco e una nostalgia profonde». Da qui l’invito a «raccogliere questa sfida per questa Quaresima», ossia riscoprire nel poeta di Recanati «l’ultimo grande realista» per cogliere «l’universalità del suo messaggio», capace di «risvegliare ai desideri più profondi dell’uomo, a cui tutti ci sentiamo chiamati». Seppure dunque «per lo stesso Sapegno, uno dei maggiori critici letterari, la disperazione di Leopardi non trovò mai rassegnazione e le domande in cui si condensa la riflessione degli adolescenti divennero per lui un’ossessione e la sua filosofia», occorre invece accostarsi all’autore riconoscendolo consapevole che «il maggior segno di nobiltà umana è la noia – ha spiegato Nembrini guardando al pensiero 68 dello Zibaldone -, cioè il sentimento che l’uomo sperimenta quando constata l’inadeguatezza umana e l’incapacità di una realtà, che da lui esige di essere conosciuta, amata e abbracciata, di soddisfare il desiderio che essa stessa ha generato».

Si tratta quindi di dare voce «a una scoperta dolorosissima: il riconoscimento dello scarto tra un’attesa di felicità e la delusione» che deriva dall’impossibilità di realizzarla, «perché nulla soddisfa il desiderio – sono ancora le parole di Nembrini -: c’è un desiderio più grande, l’uomo esige altro. Ecco l’infinito in e di Leopardi». La tesi secondo cui è impossibile per gli uomini raggiungere la felicità, qualunque tipo di vita essi conducano, viene espressa dal poeta di Recanati anche nel carme epistolare “Al conte Carlo Pepoli”, «un’opera meno conosciuta ma importante per la chiarezza esemplare sul piano del contenuto e che dice i nuclei fondamentali del pensiero di Leopardi», ha illustrato Nembrini introducendo la lettura e il commento del testo poetico. «L’ozio di cui parla qui Leopardi – ha detto l’esperto – è ben più che il contrario del negotium: è il tempo inutile in merito a uno scopo, è il tempo che passa senza averne uno o che, avendolo, non è in grado di realizzarlo. Questa è allora la condizione dell’uomo che la Natura ha benevolmente cercato di sopportare alla meno peggio, tenendoci impegnati a faticare e a pensare, così la giornata che non può essere lieta almeno è piena», come a dire che «la medicina alla disperazione, al non senso, è il non ricordare neppure più il desiderio profondo di felicità».

Nembrini quindi ha concluso osservando che nell’opera composta come dono per il nobile amico – declamata al termine della riflessione dall’attore Edoardo Coen -, Leopardi «in modo impietoso ma straordinario ha fotografato la vita piena dei giovani di un tempo e di oggi nel cui intimo e profondo è conficcata come “colonna adamantina” la noia, che nemmeno l’amore scuote». Solo uno è l’augurio che il poeta rivolge in conclusione al conte destinatario delle sue parole: riuscire a conservare nel cuore, «anche invecchiando, la speranza» perché «la tua grandezza, gli scrive, è vivere all’altezza del tuo desiderio più profondo».

Affidate al cardinale vicario Angelo De Donatis le conclusioni. Il porporato ha fatto riferimento al salmo 42, che «descrive una cerva che soffre una sete insopportabile che nulla sembra estinguere ed esprime il suo dolore con un grido. Questa è anche la condizione dell’uomo, che non smette mai di innalzare al Cielo un grido disperato perché ha bisogno di altro, ha bisogno di Dio e la sua sete nasce da una nostalgia profonda: quella di una relazione piena».

Il secondo dei cinque incontri è in programma per mercoledì prossimo, 8 marzo, alle 19 in cattedrale, ma sarà possibile seguirlo anche in diretta tv su Telepace e in streaming sul canale YouTube della diocesi.

2 marzo 2023