“Lei mi parla ancora”: Avati e l’amore

In programmazione su Sky la pellicola tratta dal romanzo omonimo di Giuseppe Sgarbi. Un racconto che è insieme realtà e favola, nell’Italia del dopoguerra

Su Roma Sette abbiamo avuto il piacere di ospitare Pupi Avati con una ampia intervista nell’aprile scorso in cui ci siamo soffermati sulla sua attività, cominciata nell’epocale 1968, e sui suoi progetti. Oggi ritroviamo il regista bolognese, attivo e vitale a dispetto dai suoi 82 anni, all’uscita del suo nuovo film Lei mi parla ancora (in programmazione su Sky). Avati parte dal romanzo Lei mi parla ancora – Memorie edite e inedite di un farmacista, pubblicato nel 2016 da Giuseppe Sgarbi all’età di 95 anni. Al centro della narrazione, il matrimonio tra Giuseppe Sgarbi e sua moglie Rina Cavallini, genitori di Vittorio ed Elisabetta Sgarbi, una unione andata avanti per 65 anni, resa ogni giorno più solida da un sentimento di reciprocità pronto a superare ogni ostacolo.

La storia prende il via oggi nella grande casa di campagna a Ferrara dove vivono Giuseppe e Rina. Affaticata da una malattia logorante, Rina sente venir meno le forze, e imminente il momento della separazione. Per Giuseppe l’affacciarsi della malattia significa il riemergere dei ricordi in un mosaico sempre più dinamico e vivace. Ecco l’Italia del dopoguerra, quando il legame tra Giuseppe e Rina è sbocciato e cresciuto , ecco la loro unione andare avanti
tra alti e bassi, momenti felici e difficili, in un contesto sempre corroborato da un amore forte pronto a superare ogni difficoltà.

«Io – ci ha detto Avati in una conversazione telefonica – sono sposato da 55 anni con mia moglie e proprio l’idea del “per sempre” fa scattare in me qualcosa di profondo e remoto. Ho voluto indagare in una sorta di backstage i motivi per i quali un vecchio signore di ottanta anni si confronta con un giovane che desidera rileggere gli stessi avvenimenti». Lavorando su una materia non nuova e a rischio di alto tasso di caduta nella facile lacrima, Avati si conferma autore di salda robustezza narrativa e di plastico sguardo capace di mettere in primo piano due personaggi “forti” e di costruire intorno a loro un reticolo di figure minori, che fanno storia, costruiscono ambienti, disegnano caratteri e situazioni. Del resto Avati ha lasciato che intorno al tema della famiglia si muovesse con calore, presenza e partecipazione un gran parte della sua produzione. Basta ricordare, tra i tanti, Il cuore altrove (2003), La seconda notte di nozze (2005), Una sconfinata giovinezza (2010) ma anche Storia di ragazzi e di ragazze (1989).

L’operazione di oggi è, se vogliamo, ancora più raffinata. Avati spacca la tranquillità della grande casa museo per aprire le porte a un racconto che è insieme realtà e favola, coralità di una prospettiva malinconica e voglia di non arrendersi al passare del tempo, scavando nella leggerezza del fotogramma l’impronta di un amore che sfida l’immortalità. Con il supporto di un gruppo di attori dalla lucida presenza, a partire da Renato Pozzetto, che fa un Giuseppe Sgarbi di attonito stupore di fronte al venire meno dell’amore.

22 febbraio 2021