“L’educazione incidentale” di Ward, per sognare un’altra scuola
Un libro, quello dell’urbanista, architetto e anarchico inglese, prezioso e ricco di spunti che fa sognare un’altra vita, un altro mondo, un’altra scuola
Ci sono genitori distratti, assenti, fragili. Ma esistono anche quelli, per fortuna in buona maggioranza, attenti, curiosi, capaci di osservare con acume e interesse l’attività dei loro figli. E così spesso scoprono, non senza qualche stupore, che i bambini prima e gli adolescenti poi, rendono a scuola assai meno di quanto potrebbero. La mattina in aula s’annoiano o, nella migliore delle ipotesi, si limitano a fare ciò che viene richiesto; il pomeriggio a casa o con gli amici si scatenano mostrando risorse creative ed energie vitali insospettabili, del tutto sconosciute ai professori impegnati a giudicarli e classificarli secondo standard di valutazioni cosiddetti oggettivi.
Da questa discrasia del comportamento giovanile prende spunto l’antologia di scritti di Colin Ward (1924– 2010), urbanista, architetto, educatore e pensatore anarchico inglese, che Francesco Codello ha approntato per l’editore Elèuthera, L’educazione incidentale (pp. 254, 17 euro): un libro prezioso e ricco di spunti che fa sognare. Cosa? Un’altra vita, un altro mondo, un’altra scuola. Basta ricordare la citazione iniziale di Stanley Baldwin, primo ministro del Regno Unito negli Anni Venti, ripresa da On England (1926) per rendersene conto: «Quell’odore di legna bruciata che i nostri antenati, molte migliaia di anni or sono, fiutavano subito nell’aria…Queste cose permeano la parte più profonda della nostra stessa natura… Anzi sono loro a rendere l’Inghilterra quella che è, e mi rattrista che oggi non siano l’eredità condivisa della maggior parte dei bambini della nostra nazione».
Come se, per l’appunto, nella formazione di un ragazzo, ancor più delle coniugazioni dei verbi latini che si insegnavano nelle vecchie “grammar school”, contasse l’esperienza della realtà concreta vissuta fuori dalle mura scolastiche, rurale o urbana: dal sentiero nel bosco al negozio di dolciumi all’angolo della strada.
Una dimensione interiore decisiva. L’educazione incidentale a cui fa riferimento il titolo, allude alla cultura di strada, a ciò che accade nello scuolabus prima ancora di mettersi a sedere al banco per ascoltare zitti e buoni la lezione del maestro. Ward non pensa alla possibilità di predisporre ponti di collegamento fra l’aula e la piazza o il borgo (oggi diremmo il centro commerciale): ci ha rinunciato.
Vuole invece indicare la dimensione conoscitiva del gioco come apprendimento spingendoci a rileggere, sulla scia di Rousseau, Pestalozzi e Frobel, tutti i profeti della nuova scuola libertaria: dalla colonia didattica che Lev Tolstoj realizzò a Jàsnaja Poljana per i suoi contadini, alle intuizioni avveniristiche di Ivan Illich, John Holt, Paul Goodman, Everett Reimer. Ecco i bambini che vagano nei terreni abbandonati delle periferie europee e s’intrufolano nei centri storici con straordinarie capacità esplorative.
A Berlino imitano i soldati mimando le sentinelle lungo il Muro. A Roma, ritratti da Steen Eiler Rasmussen, architetto danese, fanno rimbalzare il pallone lungo la scalinata della basilica di Santa Maria Maggiore (quando si poteva, non essendo ancora transennata), lasciando intendere a noi adulti le stratificazioni secolari della Chiesa. Potremmo prendere alla lettera Colin Ward, che non ebbe sotto gli occhi la rivoluzione informatica, e contestare molte delle sue ipotesi operative; oppure leggerlo come scrittore. Allora ricaveremmo da lui più di quanto pensiamo.
1° ottobre 2018