Le organizzazioni cattoliche contro Ebola: «Rafforzare la risposta umanitaria»

In una conferenza stampa a Roma l’appello congiunto delle 11 realtà attive nei Paesi più coinvolti: costruire centri di trattamento specializzati, aumentando la sensibilizzazione da parte dei leader locali. «Si muore anche per ignoranza»

Guinea Conakry, Liberia e Sierra Leone. Sono i Paesi nei quali l’emergenza Ebola non si placa, con 9mila persone infettate e 4mila morti, di cui la metà in Liberia. Molti gli ospedali chiusi perché non attrezzati per l’emergenza, e si muore anche di altre malattie per la mancanza di cure. Manca il cibo, e bisogna pensare agli orfani. L’appello al governo italiano e alla comunità internazionale arriva direttamente dalle undici organizzazioni cattoliche impegnate sul posto, dalla Caritas ai Camilliani, dai Fatebenefratelli ai Salesiani e diversi altri ancora: costruire centri di trattamento specializzati e rafforzare l’impegno e la risposta umanitaria nei Paesi più coinvolti.

Se ne è parlato questa mattina, martedì 21 ottobre, in una conferenza stampa tenuta nella Capitale dai rappresentanti delle organizzazioni interessate, in ascolto delle comunità locali grazie ai collegamenti telefonici con i missionari in prima linea nell’emergenza. In queste zone è stata proclamata la quarantena, per cui la popolazione non ha scorte di cibo e acqua, molti ospedali sono chiusi e non ci sono i laboratori per fare il test del virus Ebola, né centri di isolamento per i malati. E come in un circolo vizioso, la chiusura degli ospedali per paura del contagio provoca l’aumento di mortalità anche per parto, malaria e febbre tifoide, perché le persone non vengono assistite e curate.

«Bisogna riaprire gli ospedali chiusi e riprendere i parti in sicurezza e le cure mediche per le altre patologie»: la richiesta di Moira Monacelli, operatrice in Africa occidentale di Caritas italiana, a nome di tutte le organizzazioni. Non solo. Tra le emergenze a cui fare fronte c’è anche la sicurezza alimentare: le economie sono in sofferenza, «più del 60% della popolazione in questi Paesi vive con meno di 2 dollari al giorno. Poi c’è una preoccupazione a medio e lungo termine per la mancanza di manodopera nei raccolti», ha continuato Monacelli. Ancora, in questi angoli del mondo si muore anche per ignoranza. Ebola era un virus sconosciuto: è necessaria, nelle parole dell’operatrice Caritas, «una sensibilizzazione fatta dagli animatori locali e dai leader religiosi perché il messaggio diventi più autorevole ed ascoltato». Il decorso del virus infatti prevede l’isolamento e anche il corpo del defunto deve essere trattato con cautele per evitare il contagio. «Questo si scontra con la cultura locale che accompagna il malato fino alla morte».

21 ottobre 2014