Le migrazioni, chiamata alla corresponsabilità, per costruire una comunità nuova

Il colloquio promosso dal Centro Astalli, in vista della Giornata mondiale del rifugiato. Il presidente Ripamonti: «Non siamo una minaccia gli uni per gli altri». Il ministro Lamorgese (Interno): «Il principio cardine delle politiche europee dovrebbe essere la solidarietà»

Trasformare la pandemia in una nuova opportunità di cambiamento, volta alla responsabilizzazione e al superamento delle diffidenze. È questo l’auspicio che ha fatto da sfondo al colloquio sulle migrazioni dal titolo “In ognuno la traccia di ognuno”, promosso dal Centro Astalli in vista della prossima Giornata mondiale del rifugiato – il 20 giugno – e trasmesso ieri, 17 giugno, in diretta streaming sul sito di Vatican News.

«Non siamo una minaccia gli uni per gli altri: i rifugiati non possono continuare a essere percepiti come tali, per questo non possiamo abbandonarli in Libia, lasciarli morire in mare o alle frontiere, non possiamo accontentarci di politiche securitarie – ha commentato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, introducendo il colloquio -. In questi mesi di pandemia abbiamo percepito in modo chiaro che siamo parte di una casa comune, siamo interconnessi più di quanto pensavamo».

Un tempo, il nostro, segnato non solo da profonde consapevolezze ma anche da forti rivendicazioni identitarie. «Viviamo in una società sempre più impaurita e sfiduciata, convinta che la diffidenza sia la chiave della sicurezza – ha affermato Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la Comunicazione della Santa Sede -. In tanti dividiamo il mondo in due: il “noi” e gli “altri” e questo ci porta progressivamente a sognare un mondo fatto solo per noi». Da qui la creazione di capri espiatori che, ha proseguito Ruffini, «ci preclude non solo di vedere la verità dei problemi ma anche di vivere l’incontro con l’altro e l’aiuto reciproco».

Inclusione, accoglienza, tutela dei diritti: tutti temi che richiedono un’attenzione rinnovata soprattutto nelle agende politiche. «Il principio cardine delle politiche europee dovrebbe essere la solidarietà, l’equa ripartizione delle responsabilità, la tutela della vita dei migranti e la promozione dei diritti umani, che sono di primaria responsabilità dell’Ue e degli Stati membri nel loro insieme e non solo dei Paesi frontalieri che affacciano sul Mediterraneo», ha dichiarato in un messaggio audio il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Ed è in questa direzione che si muove il documento di intenti – redatto insieme ai ministri di Cipro, Malta, Grecia e Spagna – che ha tra le sue linee di intervento la riforma del regolamento di Dublino sulla responsabilità dello Stato di primo ingresso. «L’unica strada percorribile – ha concluso la titolare del Viminale – è l’azione sinergica basata su un approccio partecipato capace di far fronte al carattere trasversale di ogni seria politica di integrazione e protezione».

Sull’importanza di una corresponsabilità si è soffermato anche il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e già vescovo ausiliare a Roma: «Dobbiamo rendere la pandemia una grande opportunità – ha spiegato il porporato – per prenderci la responsabilità gli uni verso gli altri e per capire come vogliamo stare insieme». Da qui l’esigenza di «ripensare a come essere comunità, passo fondamentale per conoscersi e riconoscersi» e di puntare su «una politica intelligente ed europea al fine di vincere le paure».

Un’era del sospetto generalizzato che vede emergere con forza, mai come negli ultimi tempi, la sfida della coabitazione. «La cittadinanza e il luogo in cui viviamo non sono un possesso o una proprietà – ha spiegato la filosofa Donatella Di Cesare -. Abbiamo dunque bisogno da una parte di mettere in discussione l’idea di una “democrazia etnocentrica”, fondata sui concetti di sangue e suolo, dall’altra di pensare a una nuova comunità che sia degna di questo nome, cioè aperta e ospitale».

18 giugno 2020