Le diocesi del Lazio a confronto su “I giovani e Dio in rete”

Al Divino Amore il convegno organizzato dalla Commissione laziale per l’ecumenismo e il dialogo, con i rappresentanti delle diverse religioni. Il documentario di Gualtiero Peirce “Almeno credo”

Il mondo digitale e l’uso dei social network possono essere una risorsa nel processo di trasmissione della fede alle nuove generazioni? Questo l’interrogativo che ha guidato i lavori del Convegno delle diocesi del Lazio dal titolo “I giovani e Dio in rete” che ha avuto luogo oggi, 14 marzo, al santuario del Divino Amore. Organizzato dalla Commissione laziale per l’ecumenismo e il dialogo in collaborazione con la commissione laziale per l’insegnamento della religione cattolica, l’annuale appuntamento ha inteso offrire un’occasione di confronto tra educatori di diversa fede in merito a due aspetti: la fruizione dei social da parte dei più giovani e i grandi interrogativi che, pur se di differenti origini, li accomunano.

«Il nostro punto di osservazione – ha chiosato monsignor Gerardo Antonazzo, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo – riguarda la qualità dei rapporti che i ragazzi vivono nella dimensione digitale e la possibilità di fare della tecnologia un canale per il racconto di Dio, gettando dei semi di fede». In particolare, riprendendo la costituzione dogmatica Dei Verbum, il presule ha definito le indicazioni del documento conciliare «criterio di discernimento per verificare, oggi, l’efficacia della comunicazione veicolata dai social» e la rete quale «ambiente di vita dove risvegliare le domande insopprimibili del cuore».

Anche per don Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio della diocesi di Romaper l’ecumenismo e il dialogo, «è innegabile che la rete amplifichi le domande di senso dei giovani», per questo sarebbe sbagliato «ignorare la portata di questi mezzi, pur mirando, ovviamente, a favorire l’incontro fisico» ma imparando anche a parlare un nuovo linguaggio: «I nostri hashtag devono contenere pillole di verità».

Convinto che la rete sia «un supporto utile nel racconto di fede odierno», che si sovrappone a quello del mito antico, fra’ Paolo Benanti, francescano del Terzo ordine regolare e teologo, che ha però richiamato l’attenzione sul «rischio che il server assuma il principio di autorità conferito un tempo all’oracolo», facendo in modo che si passi «dalla dimensione dell’incontro, ciò a cui la fede fa capo, al freddo algoritmo». Anche per Benedetto Carucci Viterbi, rabbino e direttore delle Scuole ebraiche di Roma, «c’è un livello di esperienza religiosa che richiede necessariamente l’esserci, la presenza», perciò la tecnologia e il digitale non sono che «moderni supporti, come lo sono state le Tavole della Legge, i rotoli di pergamena e poi i libri».

Per Sami Salem, imam della moschea della Magliana, «rete e motori di ricerca vanno usati con preparazione e attenzione» perché la libertà e il diritto di informazione rispetto a questioni religiose possono degenerare «nella libera interpretazione che porta con facilità alla strumentalizzazione». Critica la posizione di Paolo Naso, valdese e docente di studi storico-religiosi alla Sapienza: «La fede e il suo racconto sono esperienze personali – ha detto – e questo non è il cuore della rete», che non riconosce «il valore della relazione e, nella sua compulsività, non lascia spazio alla meditazione e alla riflessione».

Unanime l’auspicio dei relatori: per rendere significativa la comunicazione ed efficace la trasmissione di un messaggio di fede e religioso mediante la rete, occorre educare all’empatia e all’ascolto così che «anche on-line, dove il messaggio è dispersivo e molteplice – ha concluso Carucci Viterbi – i ragazzi non navighino solo in superficie ma vadano a cercare in profondità senso e significato di contenuti e contatti».

La voce dei giovani è arrivata al convegno con la proiezione, dopo la pausa-pranzo, del documentario “Almeno credo” realizzato da Gualtiero Peirce. A distanza di dieci anni, il regista ha intervistato gli allora alunni di tre scuole elementari confessionali di Roma – una cattolica, una ebraica e quella integrativa della moschea El Fath – che aveva ripreso durante le lezioni di religione in classe, con i loro dubbi e le loro osservazioni su Dio. Oggi, adolescenti, i protagonisti hanno ripercorso il cammino di fede compiuto in questi anni, portando nel loro racconto dubbi e domande ma anche conquiste e consapevolezza nuove.

14 marzo 2018