Le Clarisse di Monti che curano le reliquie dei santi

Sono 14 nel monastero di via dei Selci: «Prepariamo le reliquie dei santi francescani. Ci portano ossa, capelli, e li sistemiamo in una teca o nei santini

C’è un luogo nel quartiere Monti dove la vita è intensa, libera e felice. Sulla targa di un semplice palazzetto di via in Selci 82/A c’è scritto “Clarisse”. Madre Pilar Mateo, 67 anni, è superiora da quattro mesi. Filippina, è in Italia dal 1991. «In tutto siamo 14, sette italiane e le altre filippine. Prima eravamo conosciute come monache clarisse di san Lorenzo in via Panisperna, poi il convento è stato trasferito qui». Le Clarisse furono fondate da santa Chiara e san Francesco nel 1212. La regola, redatta dalla santa, fu approvata da Papa Innocenzo IV nel 1253. Continua madre Pilar, la cui vocazione è nata nelle Filippine dopo la laurea, a 23 anni.

«Sono analista di laboratorio. All’inizio piangevo, mi mancavano mia madre e i gesti della vita quotidiana. Ma queste sono tentazioni che si superano con la preghiera». È arrivata in Italia leggendo nella bacheca del monastero la lettera della badessa di Rieti che chiedeva aiuto perché erano in cinque e avevano bisogno di vocazioni. «Mi sono detta: “Ma come? Nella terra di san Francesco? Conoscevo quei luoghi attraverso i libri. Allora sono partita con una consorella».

Nessuna remora nel lasciare la sua patria perché «le monache sono accoglienti. Possiamo tornare a casa ogni cinque anni e visitare anche il monastero d’origine». Oggi nel convento «ci sono due postulanti. Alcune sorelle sono anziane, oltre 90 anni». Di loro si occupa suor Concetta, siciliana, sempre con la battuta pronta, svolge il ruolo di infermiera «Vado a preparare le ragazze per il pranzo». La giornata «inizia alle 6 con la preghiera comunitaria, poi meditazione di trenta minuti e santa Messa, ancora un’ora di meditazione, infine colazione. Lavoriamo fino alle 11. La cura del monastero, del giardino, delle suore anziane e ammalate, la sacrestia. Poi di nuovo la preghiera», dice Madre Pilar.

Le suore svolgono una mansione speciale: «Prepariamo le reliquie dei santi francescani per il Postulatore della Curia generalizia francescana. Ci portano ossa, capelli, indumenti e li sistemiamo inserendoli in una teca o nei santini. Ci siamo occupate anche delle reliquie di santa Chiara. A volte di santi non francescani, con il permesso del postulatore. Prima producevamo ostie e vendevamo vino per celebrare la Santa Messa. Le acquistava anche la vicina Basilica di santa Maria Maggiore. Poi si sono rotte le macchine, le nuove sono costose, le suore che se ne occupavano sono defunte, siamo poche per portare avanti anche questo lavoro», sottolinea Madre Pilar.

La bellezza del loro carisma e della loro missione è «vivere il Vangelo in povertà, castità, obbedienza e clausura. La povertà – continua – fa bella la vita di clausura. Abbiamo la gioia di vivere i voti seguendo le orme di Cristo, nella sua presenza costante. La grata non ci fa prigioniere: troviamo, sentiamo la libertà in Cristo perché la libertà è nel cuore». Tutto questo si arricchisce «vivendo insieme, con caratteri e nazionalità diverse. Accettando la cultura e le tradizioni reciproche. Per esempio prima alcune consorelle non mangiavano il pansit, tipica pasta filippina fatta con pasta di riso, ora gli piace».

I contatti con l’esterno avvengono «attraverso tante persone che ci conoscono. E gli sposi, anche da fuori Roma. Per antica tradizione arrivano con uova o altri generi chiedendo di pregare perché sia una giornata di sole e per la loro unione. Alcuni tornano per ringraziare. Quando piove rispondiamo: “anche la pioggia è dono di Dio”. Poi in Italia si dice “Sposa bagnata, sposa fortunata”. Inoltre gli studenti che chiedono di pregare per gli esami». Al convento occorrono «vocazioni. Stiamo contattando altri monasteri nelle Filippine», dice Madre Pilar.

La semplicità francescana pervade anche la cappella. Nel giardino c’è posto per qualche ulivo e un orto dove il giardiniere filippino, insieme alle melanzane, coltiva piante tipiche di quella terra come l’ampalaya, l’upo, e il sayate. Alcuni pappagalli rompono il silenzio. Le suore li vedono. Una mamma azzurra cura un piccolo ancora senza piume. Due uova devono ancora schiudersi. Suor Maria Rosa, di Monza, saluta sorridente e avvisa che il pranzo è pronto.

 

25 settembre 2018