Le autorità Ue al confine tra Grecia e Turchia

Von der Leyen (Commissione): «Aiuti al Paese ellenico ma Ankara non è un nemico». Unicef: 575mila bambini sfollati. Caritas italiana: «No a indifferenza».

Coniugare la solidarietà e la garanzie dell’ordine «ai nostri confini». Questa la linea su cui l’Unione europea sta muovendo passi concreti, in relazione alla crisi dei migranti ai confini tra Grecia e Turchia. Lo ha ricordato oggi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, in visita alla frontiera tra i due Paesi insieme ai vertici Ue e al premier greco. Frontex, ha detto, si sta preparando a inviare altre 100 guardie – oltre alle 530 già presenti – e nuovi mezzi per pattugliare il confine via terra, mare e cielo. Da un punto di vista economico, sono 700 i milioni di euro disponibili per la Grecia, di cui 350 fin da subito, per far fronte all’emergenza. Attivato anche il meccanismo di protezione civil, per rendere disponibili presidi e materiale sanitario, tende, coperte. Con «unità, solidarietà e determinazione», l’Ue affronterà la crisi, ha assicurato Von der Leyen, dichiarando che la «Turchia non è un nemico» ma «le persone non sono i mezzi per raggiungere un obiettivo strategico».

Per il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, la vicenda non fa altro che mettere di nuovo davanti agli occhi «la necessità di rafforzare la politica comune per l’immigrazione, mentre tanti governi continuano a non esserne consapevoli». Particolarmente bisognosi di una «strategia» dedicata sono i tanti minori non accompagnati, coinvolti in questa vicenda. Per il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, l’accordo con la Turchia non è in discussione: «Continueremo a implementarlo –  ha dichiarato -, chiedendo siano rispettati i presupposti nel rispetto della legge internazionale e dei diritti umani».

Parole, quelle dei vertici Ue, che non soddisfano Caritas italiana, secondo cui «quanto sta accadendo alle frontiere esterne dell’Unione europea è inaccettabile e non deve restare nell’indifferenza». L’organismo pastorale parla di «deboli reazioni dell’Ue e degli Stati europei» «sia nella gestione del braccio di ferro tra Turchia e Grecia che nel supporto ai Paesi lungo la rotta balcanica. Nessuno – affermano da Caritas italiana – vuole farsi carico di questa ennesima tragedia umanitaria, che non arriva all’improvviso ma è frutto di una guerra che si trascina da 9 anni e ha provocato in Siria centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi». A questa tragedia fa da sfondo «l’accordo Ue-Turchia del 2016, con il quale la Turchia, grazie ai finanziamenti promessi, avrebbe dovuto alleviare la pressione sulle frontiere della Fortezza Europa ma che nei fatti non ha arrestato il flusso ma lo ha consegnato nelle mani e nella gestione dei trafficanti».

Migliaia le persone che stanno cercando disperatamente di attraversare il confine turco e vengono respinte dai militari greci. Una situazione aggravata ulteriormente dalle violenze nella provincia di Idlib, in Siria, da sui si stanno muovendo 900mila nuovi sfollati che dal  dicembre scorso hanno lasciato le proprie case. Secondo Caritas italiana «le immagini che giungono in queste ore ci mostrano ancora una volta il volto peggiore dell’Europa: donne e bambini caricati dalla polizia e la Guardia costiera greca che spara su imbarcazioni cariche di profughi, partite da Bodrum e dirette a Kos, prendendo poi a bastonate gli occupanti. Ieri mattina, durante lo sbarco a Lesbo, è morto un bimbo siriano di pochi anni. Tutto questo sta avvenendo alle porte di casa nostra».

Nella nota di Caritas italiana anche la preoccupazione per le condizioni di migliaia di profughi che stazionano da mesi nei campi profughi disseminati lungo la rotta balcanica. «Siamo purtroppo testimoni di violenze da parte della polizia della Croazia, altro Paese dell’Ue, a danno dei profughi che tentano di attraversare il confine bosniaco – è la denuncia – e che spesso vengono picchiati e rimandati indietro in spregio alle convenzioni internazionali». Preoccupazione viene espressa anche per la situazione in Albania, «dove si registra un numero sempre maggiore di arrivi e le strutture sono al collasso e in Bosnia Erzegovina dove le condizioni dei campi sono spesso disumane».

L’Unicef fornisce il dato dei bambini sfollati dopo l’escalation di violenza a Idlib nelle ultime settimane: 575mila. «Delle diverse migliaia di persone ora concentrate vicino Edirne e lungo il confine turco-greco, il 40% sono famiglie con bambini – informano -. Gli Stati devono fare tutto il possibile per prevenire ulteriori sofferenze ai più innocenti». Bambini e famiglia «sradicate dalla loro case», si legge in un comunicato, aspettano «soluzioni condivise dai leader politici che comprendono supporto economico e politico per gli Stati che accolgono tutte le persone e i bambini in cerca di aiuti, e impegni seri per ricollocare i più vulnerabili. È tempo che tutti i Paesi interessati rispettino gli impegni internazionali di proteggere i bambini da violenze e pericoli, a prescindere dal loro status o da dove provengano». Ancora, «è tempo di garantire accesso sicuro all’asilo e alla protezione internazionale, piuttosto che azioni e dichiarazioni che alimentano xenofobia o discriminazione. È anche tempo per la solidarietà europea con la Grecia e la Turchia, che hanno mostrato al mondo la loro generosità nell’accogliere un gran numero di bambini e famiglie». Per l’Unicef, «nessuno Stato può gestire i flussi dei rifugiati e dei migranti da solo. Tutti gli Stati hanno benefici se lavorano insieme per proteggere bambini e famiglie. Già vulnerabili, i bambini migranti e rifugiati hanno bisogno urgente di protezione. Nessun bambino – è la conclusione – dovrebbe mai rischiare la propria vita o il proprio futuro nella speranza di essere al sicuro».

3 marzo 2020