L’attesa di Gaza e Gerusalemme. «Non ci siano altre violenze»

Ore di tensione e preoccupazione. La Città Santa si prepara ad assistere il 14 maggio al trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv. Nella Striscia, indetta per il 15 maggio la manifestazione finale della Marcia del Ritorno

Da Gerusalemme a Gaza e ritorno: si consumeranno tutte su questo nemmeno troppo lungo tratto di strada, le ore che separano il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv alla Città Santa, previsto il 14 maggio – nel 70° anniversario dell’Indipendenza di Israele – e l’ultima grande manifestazione di massa a Gaza, fissata da Hamas per il 15 maggio, nell’ambito della “Marcia del Ritorno” con cui il movimento islamista rivendica il “diritto al ritorno” dei discendenti dei palestinesi, fuggiti o cacciati dalle loro terre nel 1948, nei territori oggi controllati da Israele. Quell’esodo che i palestinesi chiamano in arabo “nakba” (catastrofe) e che fanno coincidere appunto con la nascita di Israele.

Il 6 dicembre 2017 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha formalizzato Gerusalemme come Capitale di Israele, abbandonando la cautela usata dai suoi predecessori che avevano sempre rinnovato, ogni sei mesi, il “Presidential Waiver”, vale a dire il documento che sospende la legge del Congresso Usa del 1995 che riconosceva Gerusalemme Capitale di Israele. Un atto che, almeno per ora, ha un valore segnatamente simbolico visto che, nell’edificio scelto, sito nel quartiere di Arnona a metà strada tra Gerusalemme e Betlemme, che ospita già il consolato americano, si trasferirà solo l’ambasciatore David Friedman con un ristretto gruppo di funzionari.

Gerusalemme. Le proteste e gli scioperi indetti dai palestinesi e gli scontri con l’esercito di Israele che sono seguiti all’annuncio oggi sembrano solo un ricordo. «Almeno in apparenza – si affretta a dire padre Pietro Felet, segretario generale dell’Assemblea degli ordinari cattolici della Terra Santa – a Gerusalemme si vive in una calma piatta e, come spesso accade qui, nessuno può prevedere cosa potrà accadere. Vedremo nel prosieguo ma vero è che questo trasferimento cade in un momento pieno di tensioni ai confini nord di Israele. La speranza è che non ci siano altre violenze. Di questo trasferimento dell’ambasciata Usa per ora non ne parla nessuno. Gli stessi nostri fedeli non fanno nessun cenno a questa vicenda ma questo non vuol dire che non ci sia preoccupazione, tutt’altro». «Gli stati d’animo qui a Gerusalemme sono contrastanti – conferma monsignor Giacinto-Boulos Marcuzzo, dal 2017 vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina -, i nostri fratelli ebrei sono esultanti mentre i fratelli musulmani, insieme ai nostri cristiani, che sono arabi palestinesi, sono molto preoccupati poiché tutto quanto sta accadendo, dalla vicenda del trasferimento dell’ambasciata Usa agli scontri nel Golan e alle tensioni tra Israele e Iran, per arrivare alle proteste a Gaza, non fa che allontanare la pace da questa regione. La pace chiede altro genere di decisioni, non la violenza».

«Oggi è venerdì – aggiunge monsignor Marcuzzo – e come ogni venerdì cresce la preoccupazione per possibili incidenti e sono molti quelli che preferiscono restare a casa e non muoversi». In questa situazione le Chiese cristiane di Gerusalemme, sottolinea il vicario patriarcale, «ribadiscono l’appello lanciato in occasione dell’incontro ecumenico per la pace del 7 luglio prossimo a Bari, voluto da Papa Francesco per pregare sulla situazione drammatica del Medio Oriente. Chiediamo ai leader politici dei Paesi interessati di lavorare per la pace. Non seguite ideologie e interessi di parte ma abbiate a cuore l’interesse di tutti i popoli, nessuno escluso». Tra tante ombre oggi a Gerusalemme brilla anche qualche luce: «Sono i pellegrini. I pellegrinaggi sono in costante aumento, la ripresa è evidente – afferma monsignor Marcuzzo -, vengono soprattutto dall’Europa dell’Est, Russia e Ucraina in testa, e dall’Asia, da paesi come Viet Nam, Cina, Malesia, Filippine, Indonesia, Corea, Giappone. Non ci sono motivi di preoccupazione per i pellegrini in Terra Santa dove sono ritenuti “intoccabili” da tutti. Oggi più che mai a Gerusalemme la pace cammina con i piedi dei pellegrini. Venite in Terra Santa con serenità».

Striscia di Gaza. Se a Gerusalemme si respira una sorta di «calma piatta» diversa la situazione nella Striscia di Gaza dove sale la “paura” in vista di un trittico di manifestazioni ravvicinate: la prima oggi venerdì 11 maggio, per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, la seconda lunedì 14 per protestare contro il trasferimento dell’ambasciata Usa nella Città Santa e martedì 15, grande protesta finale che chiude, nel giorno della “nakba”, la Marcia del Ritorno cominciata il 30 marzo e che ha lasciato sul terreno decine di vittime tra i manifestanti palestinesi e migliaia di feriti. A confermare «il clima teso e di paura» è il parroco latino di Gaza, padre Mario Da Silva. «“C’è molta paura per quello che potrà accadere. Se ne parla da tempo, purtroppo. La tensione sale», sono le poche parole del religioso brasiliano che guida una esigua comunità cattolica composta da poco più di 100 battezzati e raccolta nella parrocchia della “Sacra Famiglia” situata nel quartiere orientale di Al-Zeitoun, a Gaza. E poi un appello, l’ennesimo, per tutta la Striscia di Gaza: «Pregate per la pace in questa terra. Basta guerre, basta violenza».

Altre fonti locali, che hanno chiesto l’anonimato, parlano di «un peggioramento della situazione sociale ed economica della popolazione (a Gaza più del 40% della popolazione è disoccupata e l’80% dipende da aiuti internazionali, ndr.) che va a incidere sulla rabbia delle persone e mina nel profondo la vita delle famiglie resa ancora più dura dal blocco israeliano. In questa situazione non c’è altro da fare che aspettare cosa accadrà. Saranno giorni tensione che speriamo non portino altro sangue e morti. Gaza ha bisogno di aiuto, di pace e non di altre guerre».

11 maggio 2018